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Pd deve essere luogo aperto. Assemblea dei circoli dà avvio ai cantieri

Intervista di Giovanna Casadio, la Repubblica, 29 giugno 2017

Orfini, piovono le critiche di Prodi, di Veltroni, di Franceschini su Renzi e la sua linea politica, forse è il caso di cambiare strada?
«Discutiamo. Per questo è stata convocata la Direzione il 10 luglio. Però a patto di avere rispetto per il Pd, che non è di Renzi, non è di Orfini o di Franceschini ma dei suoi elettori. Al nostro congresso circa due milioni di italiani hanno scelto un leader, Matteo Renzi e una linea politica. Il Pd è di quei due milioni di elettori».

La preoccupa la tenda di Prodi riposta nello zaino per andare in cerca di un altro campo democratico?
«Credo che tutti dobbiamo abbassare i toni e cercare di evitare divisioni. Lo dico prima di tutto a me stesso: questo spettacolo sta sconcertando i nostri elettori. Prodi è un punto di riferimento per tutti noi e nessuno gli ha chiesto di portare più lontano la sua tenda. Anzi la smonti e torni a casa. A me farebbe piacere se riprendesse la tessera del Pd».

Però al Professore che si ritagliava la funzione di collante, lei ha risposto che il Pd non ha bisogno di Vinavil?
«Ho spiegato che noi siamo in una fase politica diversa, perché ci piaccia oppure no, c’è una legge elettorale proporzionale. Le coalizioni quindi si fanno dopo che ognuno si è misurato con il consenso degli elettori. Discutere per un anno di una cosa che non c’è, della coalizione del centrosinistra, è da teatro dell’assurdo».

Anche lei ha contribuito allo scontro, twittando un’immagine del tavolo dell’Unione con leader e leaderini?
«Non è una provocazione ricordare la nostra storia: la ricerca di coalizioni disomogenee aveva prodotto una situazione per cui un ottimo premier, Prodi, era costantemente condizionato se non ricattato da micro partiti privi di consenso».

Franceschini però ritiene uno smacco il risultato delle amministrative e avverte che senza la coalizione di centrosinistra si consegna il paese a Grillo.
«È una lettura politicista. Non c’è dubbio che noi abbiamo subito una sconfitta elettorale e dobbiamo recuperare il consenso perduto, nelle fasce più deboli della popolazione in particolare. Ma la soluzione non è un accordo di ceto politico che vada da Alfano a Pisapia, come proposto da Franceschini».

Lei ha il mito dell’autosufficienza del Pd?
«Ma no! Quando vado nelle periferie di Roma, dove siamo stati puniti dagli elettori, nessuno mi chiede se andremo in coalizione. Quelli che non ci hanno più votato chiedono sviluppo, lavoro, sicurezza cultura. Forse dovremmo parlare di questo».

Pensa che Renzi sia sotto assedio?
«Non ho la sensazione di un assedio, però ritengo ci siano stati attacchi strumentali insieme a critiche che vanno ascoltate. È surreale pensare che logorando il Pd si arrivi più vicini al socialismo, così si apre la strada a Matteo Salvini».

La tensione tra il Pd e gli scissionisti, con Bersani che vi accusa di “atteggiamento canagliesco”, complica la sopravvivenza del centrosinistra?
«Non passo il mio tempo a commentare quanto dicono i leader politici di altri partiti, soprattutto quando dichiarano di lavorare a un rassemblement alternativo al Pd: facciano il loro gioco e in bocca al lupo».

Per le politiche, vorreste un listone, anche con Pisapia?
«Il Pd deve essere come l’abbiamo pensato, un luogo in cui soggetti civici, realtà associative possano sentirsi a casa. Tutti quelli interessati a costruire questo progetto sono i benvenuti. Noi apriamo il cantiere venerdì e sabato con l’assemblea dei circoli a Milano».