Vi facciamo una proposta per dare una mano al Pd.
Lo facciamo partendo da una riflessione su come il nostro partito sta attraversando questa fase. La debolezza di questo governo è sotto gli occhi di tutti. La misuriamo giorno dopo giorno su ogni dossier. Il Pd è afono, privo di idee e di linea, e l’unica cosa che sappiamo fare sono generici appelli all’unità. L’effetto è che nel paese la destra sta crescendo ancora, diventa sempre più forte e più radicale. Noi, sempre più timidi, spaventati, deboli.
La nostra risposta è affidarsi alla politica delle alleanze: un nuovo centrosinistra insieme al M5s, che di centrosinistra non è. Una linea sbagliata sulla quale spero discuteremo prima o poi in un congresso vero. Sbagliata perché nel paese c’è voglia di una sinistra che sappia essere davvero alternativa. Che non dimentichi il riformismo ma che sappia pensare e agire in modo radicalmente diverso dalla destra. Milioni di persone non trovano quello che cercano perché noi non sappiamo offrirglielo. Il Pd non è mai dove lo vorrebbero.
Zingaretti ci chiede di sostenere le scelte fatte con la legge di stabilità senza avanzare proposte per non turbare un già fragile equilibrio. E sia, accogliamo l’invito. Ma crediamo che il nostro partito abbia bisogno di scuotersi dal torpore e di tornare a combattere per le proprie idee. Il giorno dopo l’approvazione della legge di stabilità inizierà una riflessione su come migliorare e rimodulare il patto di governo. Ecco, crediamo che a quell’appuntamento sia doveroso arrivarci con le idee chiare su quali siano le priorità del Pd.
Per questo presenteremo insieme ad altri colleghi 5 ordini del giorno all’assemblea di Bologna.
5 idee, 5 proposte chiare e comprensibili:
1. Abrogazione dei decreti sicurezza di Salvini, perché sono il simbolo orribile di una politica fondata sull’odio e sulla paura.
2. 100 giorni per approvare lo ius culturae, perché non è più il tempo di discuterne e di parlarne. È tempo di farlo.
3. 100 giorni per la parità salariale tra uomini e donne, perché non possiamo continuare a chiudere gli occhi davanti ad una simile discriminazione.
4. No al populismo penale, perché il giustizialismo è di destra e il garantismo di sinistra.
5. Stop ai tirocini gratuiti, perché lo sfruttamento sistematico di intere generazioni deve finire.
Siamo convinti che porre con forza questi temi ai nostri alleati di governo significhi rendere il Pd più forte, e che approvare questi provvedimenti significhi rafforzare l’azione di questo governo.
Perché all’odio si risponde col coraggio e noi dobbiamo averne.
Se questi ordini del giorno vi sembrano convincenti, aiutateci. Firmateli, fateli girare, spiegateli insieme a noi. Cambiamo insieme il Pd.
Premesso che:
il decreto sicurezza e il decreto sicurezza bis approvati durante lo scorso Governo sono il frutto di anni di propaganda e lavoro da parte della destra;
il loro obiettivo dichiarato è stato quello di smantellare il sistema di accoglienza SPRAR e la rete di solidarietà creatasi in questi anni nel nostro Paese, criminalizzare le ONG; e hanno avuto come risultato anche quello di aumentare il numero di irregolari favorendo il lavoro nero, il caporalato e la criminalità organizzata da una parte; mentre dall’altra hanno criminalizzato la povertà trattandolo come un fatto di ordine pubblico e non sociale e tra le altre cose, hanno reso più difficile organizzare il libero dissenso in manifestazioni.
Considerato che:
numerose associazioni e organizzazioni, anche internazionali, ne hanno chiesto la abrogazione; la rete delle associazioni “ioAccolgo” ha lanciato online una raccolta di firme per chiederne la totale abrogazione che ha in poco tempo raggiunto migliaia di adesioni;
il PD ha fatto una dura opposizione all’approvazione dei decreti sia alla Camera che al Senato;
il Partito Democratico ha tramite i suoi esponenti più volte annunciato che, appena al Governo, avrebbe “cancellato” o “smantellato” i decreti sicurezza;
sono depositate alla Camera dei Deputati due proposte di Legge a prima firma Pini e Orfini che prevedono la abrogazione dei decreti sicurezza 1 e 2 nelle parti relative all’accoglienza e immigrazione e alla pubblica sicurezza
Chiede:
che il Partito Democratico non si limiti al recepimento delle giuste osservazioni della Presidenza della Repubblica, ma si impegni per una abrogazione complessiva come proposto dai testi depositati.
Premesso che:
nel nostro Paese ci sono circa 1 milione di bambini che possiedono una cittadinanza diversa da quella italiana, circa 826.000 frequentano regolarmente la scuola. Sono gli amici dei nostri figli, dei nostro nipoti, sono i nostri amici, i nostri vicini di casa, ma non hanno i nostri diritti;
la scorsa legislatura il PD ha portato avanti e approvato in prima lettura alla Camera dei Deputati una proposta di Legge per modificare la legge 91/1992 che norma l’acquisizione della cittadinanza attraverso il cosiddetto “Ius Culturae”, una norma cioè che prevede l’acquisizione della cittadinanza italiana una volta terminato il primo ciclo di studi nel nostro Paese.
Considerato che:
durante la scorsa legislatura è stato fatta una corposa attività di audizioni che hanno consentito di avere un quadro più che cristallino della situazione nel nostro Paese e che queste audizioni sono agli atti della Camera e del Senato e sono accessibili a tutti e non sarebbe quindi necessario aprire una nuova e lunga fase di audizioni per l’approvazione della legge;
il PD da sempre si è battuto per il riconoscimento dei diritti di cittadinanza per chi nasce e cresce nel nostro paese convinto che i cittadini consapevoli e fruitori di diritti civili siano una ricchezza per il Paese
il Partito Democratico si è più volte espresso a favore del superamento della legge 91/1992 per uno Ius Culturae;
un sondaggio recentemente pubblicato ha mostrato come oltre 7 italiani su 10 siano a favore di questo provvedimento
Chiede:
che il Partito Democratico si impegni nei 100 giorni successivi all’approvazione della legge di Bilancio ad approvare insieme agli alleati di Governo una legge sullo Ius Culturae
Premesso che:
Nel 2017, il rapporto annuale del World Economic Forum ha visto peggiorare tutti gli indici di parità, fra i quali il trattamento economico ha registrato il dato più negativo. Come riporta infatti il Gender Gap Report 2017 di Job Pricing, in Italia gli uomini hanno guadagnato in media 30.876 euro, il 12,7 per cento in più delle donne, che si sono fermate a 27.228. I primi hanno visto crescere i loro redditi del 2,3 per cento, le donne solo dell’1,9 per cento; nel settore pubblico la disparità è soltanto del 3,7 per cento, ma in quello privato arriva addirittura al 19,6 per cento; ciò significa che una donna lavoratrice, nel settore privato, può percepire anche un quinto di stipendio in meno del suo collega uomo, a parità di mansione e di ore lavorate. Si tratta di un’ingiustizia che va a sommarsi alle difficoltà delle donne nel conciliare i tempi di vita e di lavoro: la poca disponibilità di servizi alla prima infanzia e il loro alto costo, la propensione a non rinnovare un contratto a termine alle madri lavoratrici e l’induzione al licenziamento (mitigata dallo stop alle dimissioni in bianco, ma ancora forte in molte aziende);
secondo l’INPS, a venti anni dalla nascita di un figlio, la retribuzione di una donna lavoratrice può essere più bassa del 12 per cento rispetto a una donna che non ha avuto figli;
l’ISTAT rileva, invece, che le disparità salariali si allargano proprio dove crescono le competenze: più grande è l’azienda e più retribuiti sono i ruoli dirigenziali, più è facile che la forbice di genere si allarghi, a dispetto del merito e degli sforzi per accrescere lo studio da parte delle donne delle discipline scientifiche, tecnologiche e matematiche che danno accesso ai posti di lavoro più qualificati e retribuiti nella XVII legislatura, sono state molte le misure adottate per contrastare la mancanza di pari opportunità sul luogo di lavoro, a partire dal divieto delle cosiddette «dimissioni in bianco», finalmente reintrodotto dal Jobs Act, ponendo fine ad una delle più insopportabili pratiche di ricatto nei confronti della madre lavoratrice;
inoltre, è stato esteso il congedo parentale; è stato istituito e prorogato il congedo obbligatorio di paternità; è stato finanziato il voucher baby sitter; l’indennità di maternità è stata resa certa anche per le lavoratrici i cui contributi non sono stati versati dai datori di lavoro ed è stata estesa e resa flessibile per le lavoratrici autonome; sono state investite risorse per consentire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro; sono stati istituiti incentivi per le assunzioni delle donne vittime di violenza; è stato esteso alle lavoratrici autonome il pagamento dell’indennità per l’assenza dal lavoro nei casi di violenza di genere;
la legge di bilancio 2019, in discussione in Parlamento, prevede importanti passi avanti come l’asilo nido gratuito, il rinnovo di tutte le misure per la genitorialità, la costruzione dell’assegno unico universale per le famiglie con figli, l’estensione del congedo di paternità a 7 giorni; manca, a fianco di queste misure, una tutela per garantire la parità salariale fra le lavoratrici e i lavoratori. Eppure nel nostro Paese una previsione di legge per vigilare su questo fenomeno esiste: è il codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo n. 198 del 2006, che all’articolo 46 prescrive alle aziende con più di cento dipendenti di redigere un rapporto biennale sui vari aspetti inerenti le pari opportunità sul luogo di lavoro, inclusa la retribuzione;
a questa norma manca di fatto una spinta alla trasparenza: oggi non esiste un modo per sapere quali aziende abbiano redatto il rapporto e quali no e quali siano state sanzionate, né i dipendenti delle aziende hanno modo di accedere al rapporto per verificare eventuali discriminazioni; sulla spinta dell’associazionismo e degli indirizzi delle istituzioni internazionali, fra cui anche l’Unione europea con la raccomandazione 2014/124/UE del 7 marzo 2014, molti Paesi negli ultimi anni hanno provveduto a innovare la loro legislazione in merito alla parità salariale, come ad esempio la Germania e il Regno Unito, spingendo per una maggiore trasparenza sulle retribuzioni dei dipendenti delle grandi aziende. È tempo che anche in Italia si agisca in questa direzione, valorizzando la legislazione esistente che ha già dato luogo ad una consuetudine per le nostre aziende, aggiornandola e potenziandola;
nell’attuale legislatura è stata depositata presso la Camera dei Deputati la proposta di legge n. 615, a prima firma di Chiara Gribaudo, sottoscritta non solo da tante deputate del Partito Democratico ma anche di molte altre forze presenti in Parlamento;
la proposta inserisce nel Codice un principio che è alla base di tutti i maggiori interventi europei su questo tema: il principio della trasparenza, che ha il merito di colpire chi viola la parità salariale innanzitutto dal lato della reputazione, che oggi è tra i beni più preziosi per qualsiasi azienda. La trasparenza viene applicata:
1) rendendo pubblico l’elenco delle aziende che hanno trasmesso il rapporto e delle aziende che non lo hanno trasmesso;
2) inserendo la possibilità per i dipendenti di consultare, nel rispetto della privacy, il proprio rapporto aziendale;
3) dando la possibilità di redigere il rapporto anche alle aziende sotto i 100 dipendenti, su base volontaria.
Alla trasparenza viene sommato: il controllo, effettuato da parte dell’Ispettorato nazionale del lavoro; la sanzione, che diventa certa e seria dopo 12 mesi di inottemperanza, con la revoca degli sgravi fiscali e previdenziali; la certificazione, un “bollino rosa” da assegnare alle aziende che rispettano tutti i parametri del rapporto, per incentivare le buone pratiche. Infine, vogliamo dare un ruolo riconosciuto alla Consigliera Nazionale di Parità, invitandola a presentare ogni due anni un rapporto complessivo al Parlamento;
la proposta deve essere parte integrante di una battaglia culturale nel Paese, affinchè la parità salariale e i tanti diritti del lavoro ancora non pienamente riconosciuti alle donne, siano percepiti nel loro valore quotidiano e diventino una sfida collettiva
Chiede:
che il Partito Democratico si impegni nei 100 giorni successivi all’approvazione della legge di Bilancio ad approvare insieme agli alleati di Governo la legge sulla parità salariale fra uomo e donna.
Premesso che:
tra i temi che il Governo e i partiti che compongono la sua maggioranza parlamentare dovranno affrontare nelle prossime settimane è da tempo individuato quello della giustizia, con l’obiettivo prioritario di intervenire per ridurre i tempi dei procedimenti in sede civile e penale;
in questi anni il Partito Democratico, anche quando ha avuto responsabilità di governo, si è contraddistinto facendo sua e attuando una linea politica capace di accompagnare il necessario miglioramento del servizio giustizia con la difesa delle garanzie individuali che appartengono ad una cultura dei diritti, ispirata ad un diritto penale liberale e ai principi del giusto processo.
Considerato che:
oggi che si trova a far parte integrante di un governo di coalizione, il Partito Democratico non può che partire da queste premesse politiche e culturali per affrontare i diversi nodi rimasti aperti ed ereditati dal precedente governo, dal tema urgente e preoccupante sollevato dal nuovo meccanismo della prescrizione in vigore a partire dal 1 gennaio 2020 allo sblocco della nuova disciplina delle intercettazioni rinviata nel corso dell’ultimo anno da parte del Governo precedente, dal sovraffollamento nelle carceri tornato a crescere in modo preoccupante fino al tema della durata dei processi;
l’entrata in vigore del blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, già previsto dal gennaio 2020, comporta nel sistema attuale il serio e concreto rischio di un prolungamento ulteriore a tempo indeterminato della definizione dei processi penali, con un danno enorme per gli imputati e per le persone offese;
non è degno di uno regime democratico di diritto che lo Stato da un lato riconosca il proprio fallimento sui tempi con cui esercita l’azione penale e poi lo scarichi tutto sulle spalle dei cittadini, facendo diventare il processo, di fatto, una pena anticipata;
Impegna il Partito Democratico:
in occasione della discussione con gli alleati di governo sui temi più urgenti di riforma del sistema giustizia, a chiedere l’immediata sospensione dell’entrata in vigore della nuova prescrizione prevista dal 2020, per consentire da un lato di valutare gli effetti dell’attuale disciplina introdotta soltanto nel 2017 e dall’altro di accompagnarne eventuali modifiche con un approfondito e condiviso intervento sul processo penale orientato a ridurne i tempi morti e ad individuare meccanismi per limitare il numero dei dibattimenti;
a mettere in cima alle priorità del Governo una nuova riforma dell’ordinamento penitenziario che torni a dare priorità ad un modello di detenzione non più carcero-centrico ma che, sia culturalmente sia dal punto di vista attuativo, metta al centro la proiezione verso il “dopo”, riconoscendo così un diritto alla speranza che appartiene a tutti i detenuti e considerando questo come il modo più efficace per contrastare l’elevato tasso di recidiva oggi diffuso in Italia e, di conseguenza, un sovraffollamento carcerario che è all’origine di situazioni palesemente al di fuori di ogni legalità.
Premesso che:
Secondo il Rapporto Italiani nel mondo 2019 della Fondazione Migrantes, da gennaio a dicembre 2018 sono stati oltre 128 mila i cittadini italiani espatriati, in lieve crescita rispetto all’anno precedente. Si tratta soprattutto di celibi e nubili (64,0%) e, a distanza, di coniugati/e (30,3%). L’attuale mobilità italiana continua a interessare prevalentemente i giovani (18-34 anni, 40,6%) e i giovani adulti (35-49 anni, 24,3%). In valore assoluto, quindi, chi è nel pieno della vita lavorativa e ha deciso, da gennaio a dicembre 2018, di mettere a frutto fuori dei confini nazionali la formazione e le competenze acquisite in Italia, raggiunge le 83.490 unità;
nonostante gli sforzi condotti negli ultimi anni per contrastare il fenomeno, mediante gli strumenti nazionali e la realizzazione di strategie straordinarie quali la Garanzia giovani, il tasso di disoccupazione giovanile nel 2018 si attestava ancora su livelli alti (32,2 per cento), accompagnato da un dato ancora più preoccupante: quello dei giovani non occupati e non in istruzione e formazione, noti con l’acronimo «NEET» che riportano che un giovane su 4 nel nostro Paese né studia, né lavora. Un esercito di 875.000 ragazzi;
questa realtà incide fortemente sulla possibilità di andare a vivere da soli, un traguardo difficilmente raggiungibile anche per coloro che lavorano a basso reddito o studiano senza alcuna agevolazione o borsa di studio. In tutti questi casi l’indipendenza abitativa non è una scelta. La casa dei genitori diviene così un’inevitabile senso unico: sono in questa condizione il 49,3% dei giovani fra 25 e i 34 anni di età secondo i dati di Eurostat, contro una media europea del 28,5%;
in questo panorama, le modalità di ingresso nel mercato del lavoro contribuiscono fortemente a limitare l’accesso dei giovani a condizioni di reddito dignitose;
secondo quanto riporta la testata “Repubblica degli stagisti” sulla base di dati forniti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nel 2017 sono stati attivati quasi 368.000 stage extracurricolari. Tra il 2012 e il 2017 il numero di questo tipo di tirocini è esploso: nel 2012 ne erano stati attivati 185.000 e dunque, in sei anni, essi sono addirittura raddoppiati. Purtroppo, invece, non sono disponibili dati precisi per quanto riguarda le centinaia di migliaia di studenti stagisti, cioè gli studenti dei tirocini cosiddetti “curricolari”, attivati ogni anno nell’ambito dei percorsi universitari triennali o magistrali, dei master e delle scuole di formazione post-diploma o post-universitarie. Il MIUR infatti non provvede al loro monitoraggio e il Ministero del lavoro ha abolito da tempo la comunicazione obbligatoria per l’attivazione dei tirocini curriculari;
secondo il consorzio Almalaurea, nel 2016 erano 131.000 i giovani che avevano svolto almeno un tirocinio durante il loro corso di studi (e che di essi il 21,7 per cento aveva svolto la propria attività curricolare presso gli atenei). Si può quindi stimare che siano almeno 200.000 i tirocini curricolari attivati ogni anno nel nostro Paese, a costo zero per le imprese e gli enti pubblici che li ospitano;
tale modalità di ingresso nel mondo del lavoro va a sommarsi ai percorsi di praticantato gratuiti previsti per l’accesso a numerose professioni ordinistiche, nei quali la corresponsione di un rimborso spese ai tirocinanti è spesso a discrezione del soggetto ospitante e non regolamentata né a livello di ordine né a livello legislativo;
l’obbligo di fornire prestazioni lavorative in maniera totalmente gratuita legate all’acquisizione di diplomi, lauree e altri titoli di studio, costituisce il rischio della creazione di un mercato della formazione in cui si “acquista” un determinato corso o master soltanto per aver accesso a tirocini presso determinati posti di lavoro, senza tuttavia avere la certezza di una contrattualizzazione al termine del percorso;
in base alle stime sopra descritte e considerando ogni tirocinio come almeno trimestrale per circa 150 ore mensili, in un anno il mercato del lavoro italiano usufruirebbe di circa 90.000.000 di ore di lavoro prestato gratuitamente, per la maggioranza da parte di giovani under 30; un numero di ore consistente se confrontato ad esempio con le ore di cassa integrazione erogata nel 2018 (217 milioni);
risulta quindi necessaria una regolazione dei tirocini curriculari che implichi la fissazione di una retribuzione minima mensile per il loro svolgimento e l’istituzione di meccanismi trasparenti di attivazione, monitoraggio e misurazione della loro efficacia per verificarne l’utilità nell’accesso al mondo del lavoro;
Chiede:
che il Partito Democratico si impegni nei 100 giorni successivi all’approvazione della legge di Bilancio ad approvare insieme agli alleati di Governo una legge per la regolazione dei tirocini curriculari che istituisca una retribuzione minima mensile e meccanismi trasparenti di attivazione e svolgimento.