Intervista di Carlo Bertini, La Stampa, 20 settembre 2018

«Così alle Europee rischiamo di andare peggio che alle politiche. Se continuiamo così, con quattro mesi di risse tra noi e un congresso che si riduce solo ad una resa dei conti, non possiamo illuderci di riavvicinare elettori a questo Pd. Io propongo di ripartire dalle Europee, fermando ora il congresso: i principali leader del Pd e intellettuali di area partecipino scrivendo il programma, candidandosi, facendo campagna, con l’obiettivo di salvare l’Europa. E il futuro segretario sarà quello che dimostrerà di essere più bravo in quella battaglia. Io aprirei le liste insieme ad un processo per rifondare il Pd, con lo stesso nome, ma nuovo, aperto, che vada da Saviano a Calenda, passando per Cacciari. Ovviamente azzerando tutte le cariche di partito».

E il segretario?
«Martina potrebbe restare al timone, affiancato magari da un comitato per guidare il partito. La forma si trova, come si fece quando si fondò il Pd. Ma ciò mette in discussione tutto e tutti e forse per questo spaventa molti».

Presidente, si potrebbe dire che è lei ad essere spaventato da un congresso dove vincerebbe Zingaretti. O no?
«Guardi, noi che siamo maggioranza comunque partiremmo avvantaggiati e quale sia il nostro candidato potremmo vincere. Ma il tema è diverso: io sono molto preoccupato da questo clima e dalla voglia di regolare conti interni, che mi sembra totalmente fuori asse rispetto alle sfide che abbiamo di fronte e anche a quello che chiedono i nostri elettori. I nostri avversari sono già in campagna elettorale per le europee, un passaggio decisivo, la sfida che le nuove destre lanciano per avere maggioranza nella nuova Unione».

Ma come volete fronteggiarli se vi mancano slogan forti su Europa, tasse, povertà e pensioni? Come pensate di riconquistare il popolo perduto?
«Intanto ci manca una visione alternativa. Non possiamo essere quelli che difendono l’Europa dell’austerità, dei vincoli, che nega sostegno quando ce n’è bisogno. Va ripensata un’Europa sociale che sappia essere una risposta ai problemi, costruendo anche un’alleanza. Non possiamo dividerci sul tasso di vicinanza a Macron , ma dobbiamo costruire un’alleanza che va da Macron a Tsipras».

E invece ora vi tocca fare il congresso e non avete un candidato. Renzi può ripresentarsi?
«Se guardo agli interessi personali a ognuno di noi conviene fare il congresso. Siamo pronti e io penso che il candidato che sosterrò vincerà. Quanto a Renzi, lui ha escluso una sua ricandidatura: non mi pare un’ipotesi in campo ed è giusto che sia così».

Intanto il segretario del Pd di Ravenna, che ha organizzato la festa dell’Unità, le chiede di dimettersi.
«Azzerare tutto implica non solo le mie dimissioni, ma anche le sue. Ora abbiamo bisogno di fare qualcosa all’altezza di questa sconfitta. Non possiamo pensare di chiedere a qualcuno di dare una mano nel Pd per come è ora, con filiere, correnti, conta sui nomi. Sarebbe più forte mettere a disposizione tutte le nostre funzioni, a cominciare dalla mia, dicendo: azzeriamo, costruiamo insieme una nuova organizzazione e uno statuto nuovo con tutti quelli che hanno dimostrato di impegnarsi. Lo dico a Cacciari, a Saviano, che giustamente ha fatto appello al mondo intellettuale a reagire culturalmente. E lo dico a Calenda: non serve una cosa diversa, ma un Pd diverso. Cominciamo a portarlo in piazza, aprendo gli steccati e coinvolgendo mondi vicini al nostro nella manifestazione del 30 settembre. Se vogliamo cambiare tutto facciamolo davvero, non si può ripetere la solita conta solo per ridefinire gli equilibri interni»

Di David Allegranti, Il Foglio, 7 agosto 2018

Costruire l’alternativa a un “governo di destra” come quello felpa-stellato è possibile, secondo Matteo Orfini, che rifiuta dialoghi e alleanze con i grillini, da qualcuno spacciati nel Pd per una costola della sinistra. “Considero il M5s di destra”, ha detto sabato scorso in apertura della festa del Pd di Livorno. “Una forza culturalmente e politicamente sovrapponibile alla Lega di Salvini. Credo che il blocco politico nel paese tra grillini e leghisti si sia saldato molto prima che pensassero di fare un governo. Quando noi litigavamo al bar o al mercato con l’elettore che usava argomenti contro la politica, contro le istituzioni, contro la legge sui vaccini, contro qualunque cosa, facevi fatica a distinguere se era un leghista o un grillino”.

Detto questo, c’è da capire come ricostruire il Pd e l’opposizione. Non è semplicissimo per un partito che è stato sette anni al governo o in maggioranza, “perché ci sono persone come me che hanno qualche anno in più e che sono abituati a fare l’opposizione. Ma c’è anche un pezzo del Pd e anche una parte dei nostri gruppi dirigenti e dei nostri parlamentari che per la prima volta si trovano in una posizione del genere e devono imparare a farlo”. C’è anche un problema di identità.

Che cos’è oggi il Pd?
“L’identità del Pd è quella di una grande forza di centrosinistra, che deve evidentemente rideclinare i valori della sinistra in una condizione diversa rispetto al passato. Oggi in Europa ci sono forze estreme di populismi e nazionalismi, c’è il riemergere di pulsioni che credevamo archiviate nei libri di storia. Quello che sta accadendo ogni giorno in questo paese, e che Salvini nega, come il ritorno di violenza a evidente matrice razzista se non fascista in alcuni casi, racconta l’esigenza di costruire una risposta non solo in Parlamento, ma nella società. Perché la sfida nei confronti di questa destra l’abbiamo persa prima culturalmente che politicamente”.

In che modo?
“C’è un pezzo di paese che non vota Lega, ma che su alcuni temi, anche a sinistra, pensa come Salvini. A me questo preoccupa molto di più di quelli che votano Salvini. E questo accade anche perché noi probabilmente negli ultimi anni quella battaglia culturale abbiamo smesso di farla, perché abbiamo immaginato che l’unica missione vera di un grande partito come il nostro fosse governare il paese e cambiare il paese dal governo. Credo che abbiamo governato bene il paese, abbiamo lasciato un’Italia che sta meglio di cinque anni fa, però abbiamo perso drammaticamente le elezioni, perché governare bene non è sufficiente, non basta più”.

La questione è che “noi abbiamo fallito anche perché per una parte del paese siamo apparsi come la forza che cercava di difendere lo status quo, non quella che cercava di sovvertirlo. Oggi ci stupiamo che non prendiamo più voti tra i precari, i disoccupati, i giovani, gli operai, i ceti popolari: sono trent’anni che non prendiamo più quei voti, perché siamo stati percepiti per larghi tratti della nostra storia come quelli che non volevano cambiare gli equilibri di potere e di ricchezza di questo paese, che è chiuso, oligarchico. Una volta abbiamo rotto questo meccanismo, alle europee quando abbiamo preso il 40 per cento, perché siamo stati interpretati come la forza – in quel caso per merito di Renzi che lo trasmetteva quasi in modo pre-politico – che aveva voglia di scassare tutto, di sovvertire gli equilibri, di cambiare le cose. Poi quella forza, percepita di cambiamento, si è evidentemente appannata, o almeno non è arrivato più quel messaggio. Anche perché in alcuni casi non siamo stati in grado di rivoluzionare davvero tutto; non abbiamo avuto uno strumento all’altezza di questo compito”.

Contro le alleanze stravaganti
E adesso la soluzione per curare i mali della sinistra sarebbe recuperare il dialogo con l’elettorato a partire da un dialogo con il M5s? No,
grazie, dice Orfini. “L’idea che siccome un pezzo dei nostri elettori ha scelto di votare il M5s noi ci dovessimo conseguentemente alleare con il M5s a me non ha mai convinto. Ho sempre ritenuto e pensato che qualora ci fossimo alleati con il M5s avremmo certificato la fine della storia della sinistra italiana”. Troppe le cose che dividono: “Casaleggio dice che tra un po’ il Parlamento sarà superato; non è una boutade, non è una sciocchezza, non l’ha detta perché aveva bevuto, l’idea che la democrazia rappresentativa vada superata è l’idea del M5s. L’idea che le istituzioni debbano essere delegittimate, l’idea che non conta ciò che è vero ma ciò che è virale, l’idea che sulle fake news, sulle bugie e sulla demonizzazione dell’avversario si costruisca una vittoria elettorale è la negazione di quello che pensa e crede una persona di sinistra.

Il reddito di cittadinanza non è una proposta di sinistra, il Pci non lo voleva, ma per una ragione: nella nostra Costituzione il lavoro è dignità – ma non come il decreto di Di Maio – il lavoro è quello che costruisce la soggettività politica, è un perno della cittadinanza. Non puoi immaginare che il lavoro sia solo il salario. Questo non significa che nel momento in cui ti trovi in condizioni di povertà o difficoltà tu non abbia diritto a un sostegno, infatti abbiamo realizzato il reddito di inclusione, di cui usufruiscono già un milione di persone. Uno strumento che va ampliato, certo, ma, insomma, da qualunque parte la si prenda, la sinistra con il M5s non c’entra nulla”.

C’è chi dice che bisogna superare il Pd, ma “oltre il Pd c’è la destra”. E’ una battuta di D’Alema, che peraltro ha costruito “una grande scuola di formazione, poi purtroppo è invecchiato male”, ma è una frase “vera, purtroppo. Quando la disse lui non lo era, adesso è diventata. Oggi, se io guardo in Parlamento, a parte uno sparuto gruppetto sotto di noi la cosa più moderata che c’è è Forza Italia, con cui non voglio avere nulla a che fare come prospettiva di allargamento del Pd”. Carlo Calenda, per dire, ha lanciato il “fronte repubblicano”, ma “l’idea di costruire una cosa che tiene insieme tutto ciò che non è il governo attuale vuoi dire immaginare che si possa costruire un soggetto politico nuovo in cui noi e Berlusconi stiamo insieme. A me pare anche questa la negazione della ragione per cui siamo nati. E onestamente non fa per me, non è cosa nostra. Lasciamo Berlusconi a Salvini, tanto più che questo governo è nato grazie al permesso di Berlusconi, che è per finta all’opposizione, ma di fatto è in maggioranza”.

Discorso vale anche per chi è oggi a sinistra perché uscito dal Pd, avverte Orfini: “Non mi convince l’idea che noi risolleviamo le sorti della sinistra rimettendo insieme me, Bersani e D’Alema. Non risolverebbe nulla. Noi abbiamo preso il 18, Leu il 3. Se noi ci rimettessimo insieme sono abbastanza convinto che una parte di quelli che hanno votato per noi non ci voterebbero più e penso che una parte di quelli che hanno votato Bersani e D’Alema non li voterebbero più”. Contro Minniti, voce dal pubblico, parla un elettore livornese: “Mi dovete spiegare una cosa. Come mai noi s’è perso a Pisa? C’è stato un sviluppo esagerato di industrie, di lavoro, eppure… Il mio punto di vista è uno solo: quando uno va all’ospedale di Pisa, come si fa tutti, c’è trenta neri che ti vengono davanti. La Lega ha vinto in quella maniera”.

Orfini non si scompone: “A Pisa, come in larga parte del paese, la Lega ha preso i voti sull’immigrazione. Ora, è ovvio, se uno va all’ospedale e trova un nucleo di immigrati particolarmente aggressivi o vive in un quartiere dove delinquono poi tutto questo produce una reazione. Ma la risposta a quel problema è garantire la sicurezza, il controllo del territorio, dare gli strumenti a chi deve farlo”. Però attenzione, dice Orfini, non è stato solo Salvini a “costruire l’idea che la sicurezza e l’immigrazione siano due cose legate, e non è così, perché i delinquenti possono essere italiani o immigrati. Se accetti quel nesso vince Salvini. Il tema non è indicare il nemico da fermare. Perché se la sicurezza tu la garantisci fermando l’immigrazione – e accetti quindi questa lettura – allora ha ragione Salvini: bisogna chiudere i porti, affondare i barconi e chiudere le persone nei lager in Libia, come sostiene Salvini. Noi dobbiamo rifiutare la lettura per cui immigrazione e sicurezza sono collegate. Poi, certo, dobbiamo garantire la sicurezza, e questo significa che quando un immigrato o un gruppo di immigrati delinquono devono essere presi, messi in galera o rimandati – garantendo che ci restino – nel loro paese”.

Ma, dice Orfini, “la battaglia culturale per spiegare agli italiani che non si può indicare il nemico ma bisogna garantire la sicurezza non l’abbiamo fatta. La ragione per cui a me è capitato di discutere con Minniti è perché se tu sei il ministro dell’Interno di un governo di sinistra e dici che l’immigrazione mette a rischio la democrazia, come capitò di dire a lui, accetti la lettura di Salvini. Non lo puoi dire, perché se l’immigrazione mette a rischio la democrazia, è lecito fare quello che fa Salvini. Per fortuna non è vero che l’immigrazione mette a rischio la democrazia. Sono i delinquenti che la mettono a rischio, sono le mafie, la criminalità organizzata; poi, a volte, tra quei delinquenti ci sono anche gli immigrati”. Dunque, “se sei ministro dell’Interno devi dichiarare guerra alla criminalità, non indicare un nemico che ti serve perché non sei in grado di fare il tuo mestiere. Salvini questo sta facendo. Non è migliorata per niente la condizione di vita del nostro paese.

Io mi sono candidato a Tor Bella Monaca, zona peggiore in assoluto, elettoralmente per il Pd di Roma e piazza di spaccio modello Scampia tra le più grandi di Europa e le più controllate dalla criminalità organizzata. Salvini ci venne a fare una passeggiata in campagna elettorale dicendo ripulirò tutto. Ovviamente da quando è ministro, nulla è cambiato e nulla cambierà, perché l’attività che svolge Salvini è indicare il nemico. Prima sono i rom, poi sono i migranti, però non farà nulla per risolvere quei problemi, perché non ci riesce, perché non lo può fare perché non gli serve, perché continua a lucrare sulla rabbia nei confronti di quella percezione di insicurezza che, a volte, è insicurezza reale che i cittadini soffrono”. E allora “noi questo giochetto, questo incantesimo, lo dobbiamo rompere prima di tutto tra di noi e ricominciare a dire che non è vero che è tutta colpa degli immigrati, non è vero che noi non siamo nelle condizioni di accoglierli, non è vero che sono troppi, è che sono distribuiti male e integrati male, perché abbiamo fallito anche noi sulle politiche di accoglienza e di integrazione, e che noi abbiamo bisogno di mettere contestualmente le forze dell’ordine in condizioni di garantire il controllo del territorio e la sicurezza.

Dobbiamo recuperare, questo sì, l’idea che sicurezza è un grande valore della sinistra, perché della sicurezza ha bisogno soprattutto chi non se la può comprare da solo. Se tu sei ricco vai nel quartiere bene, dove non c’hai il problema della sicurezza. Se non te lo puoi permettere hai bisogno che quella sicurezza sia garantita dallo stato. Noi per troppi anni abbiamo lasciato il tema della sicurezza alla destra e poi per recuperare abbiamo accettato di declinarlo come lo declinava la destra, cioè legandolo al tema dell’immigrazione. Se continuiamo a fare così non è che Salvini vince a Pisa, vince ovunque. Da un lato, dunque, cogliamo il punto di verità che c’è in quel ragionamento, dall’altro ricominciamo a raccontare la verità agli italiani e a fare battaglie impopolari. Perché su questo tema dell’immigrazione abbiamo usato le parole della destra; perché avevamo paura del consenso che quelle parole avevano nel paese. Ma se tu usi le parole della destra, e questo vale sull’antipolitica quando usi le parole dei grillini, alla fine la gente vota l’originale”.

Intervista di Daniela Preziosi, Il Manifesto, 3 agosto 2018

Matteo Orfini, la prossima settimana la camera voterà il decreto per la cessione di 12 motovedette alla Libia. Al senato il Pd ha votato sì. Lei ora chiede un ripensamento. Perché?
Perché quello che sta emergendo sulle condizioni dei campi libici obbliga ad alzare l’attenzione sulla garanzia dei diritti umani. Soprattutto quando al governo c’è chi sembra non ritenere questo un problema di competenza del nostro paese. Ma c’è dell’altro.

Cosa?
In questi mesi sono emerse diverse verità sul comportamento della Guardia costiera libica, sulle modalità dei “salvataggi”, su alcune sovrapposizioni con i trafficanti di uomini. A fronte di tutto questo, prima di cedere altre motovedette alla Libia credo sia dirimente mettere dei paletti: la garanzia della cogestione dei campi da parte organizzazioni internazionali, e comunque un concreto salto di qualità nella garanzia dei diritti umani.

Smentireste il voto al senato?
Al senato il Pd ha presentato emendamenti che però sono stati bocciati.

Chiede di riproporli?
Sì, rafforzandoli. Dobbiamo chiedere a Lega e M5S, e soprattutto a chi come il ministro della Difesa si è detta molto preoccupata dai diritti umani, di accettare quegli emendamenti. Se non dovesse avvenire mi sembra complicato il voto a favore del Pd.

La pensano così anche i suoi colleghi deputati?
Su questa posizione c’è una discreta sensibilità nel Pd. D’altra parte sto dicendo cose in piena continuità con la storia del centrosinistra. Nel nome dei diritti umani abbiamo orgogliosamente svolto missioni militari dal Kosovo all’Afganistan alla Somalia. Spinti dall’idea che dove i diritti umani sono a rischio, la sinistra ha l’obbligo di intervenire.

Per questa idea in tutte quelle guerre avete rotto con la sinistra pacifista.
Ci sono state anche rotture, certo. Ma oggi noi non possiamo passare da quelli che intervenivano anche militarmente per il rispetto dei diritti umani a quelli che armano chi viola sistematicamente i diritti umani.

La cessione di motovedette però nasce da un piano, quello di Minniti, il vostro ministro. Non c’è il rischio che il Pd sia obbligato a votare sì per questo?
Su quel piano a suo tempo ho espresso le mie perplessità. Ma non è questo il punto oggi: quel piano prevedeva elementi da rivendicare, fra l’altro la verifica del rispetto dei diritti umani in Libia. Oggi la verifica c’è stata. Ed ha dato esito negativo, purtroppo.

Convocherete una riunione dei deputati dem?
Ne stiamo già discutendo nel gruppo e spero che troveremo un punto di sintesi. Questa vicenda ci deve far riflettere: siamo di fronte a una strage di massa in Africa, quelli che muoiono nel Mediterraneo sono solo una parte. Questo dramma per la sinistra non può essere ridotto a quanti ne sbarcano in Italia. La sinistra europea deve riscoprire il coraggio di una grande battaglia politica e culturale. Che in questi anni non c’è stata.

Anzi, voi avete fatto l’opposto: è il ministro Minniti ad aver inaugurato il confronto muscolare con le Ong. Poi sono arrivate le denunce della procura di Catania, e le inchieste. E poi Salvini.
E poi Di Maio e Salvini. Ma non si possono mettere sullo stesso piano le preoccupazioni espresse da Minniti con le accuse e poi le azioni di Salvini e Di Maio. Le inchieste sono finite in archiviazioni. Ma la propaganda che M5S e Lega hanno fatto contro le Ong ha prodotto il fatto che oggi nel Mediterraneo non solo non ci sono organizzazioni che salvano vite umane, ma neanche occhi che controllano quello che fa, ad esempio, la Guardia costiera libica.

Oggi l’Italia affida alla Libia il “salvataggio” delle persone che scappano dalla stessa Libia.
È indispensabile coinvolgere i paesi africani nella gestione dei flussi. Ma nel frattempo la soluzione non sono i respingimenti forzati che riportano le persone nel posto da dove scappano.

Cosa farà se il Pd non sarà d’accordo con lei?
Il tema non è convincere il Pd ma la maggioranza. I ministri Trenta, Di Maio, Salvini possono dire che il rispetto dei diritti umani è irrilevante? Il Pd comunque non può.

Ma se questi emendamenti fossero respinti, lei come voterà?
Sono il presidente del Pd, voterò la stessa cosa del Pd, che senza quegli emendamenti di certo non potrà votare a favore.

Intervista di Daniela Preziosi, il manifesto, 26 giugno 2018

 

Presidente Orfini, per Zingaretti  si chiude «una fase storica». Si chiude il renzismo?

Non so cosa intenda Zingaretti. Il 4 marzo c’è stata una sconfitta politica del Pd, domenica anche. Tutti avevano chiesto di affrontare la discussione dopo le amministrative. Ora possiamo farlo.

Calenda dice: andare oltre il Pd. 

Oltre il Pd oggi c’è la destra.

Questa è una citazione di D`Alema sulla svolta di Occhetto. Ma poi la svolta ci fu. 

Non risolveremo i nostri problemi ripartendo dai nuovi nomi di partito, dalle formule o dalla somma del ceto politico. Il tema è come riconquistare gli elettori che hanno votato a destra. La soluzione non sono le coalizioni larghe fatte a prescindere: le abbiamo fatte alle amministrative, non hanno vinto. Il problema è più profondo.

Calenda parla di fronte repubblicano, Renzi vagheggia un partito macronista fuori dalla famiglia socialista. Le piace? 

No. E lo dico nel momento di massima debolezza del Pse. Non ci ridaremo un orizzonte europeo sommando tutto ciò che non è populismo xenofobo. Se si vuole rilanciare davvero il centrosinistra non serve una grande coalizione Ppe-Pse. Serve lavorare a un soggetto europeo che vada da Macron a Tsipras.

Sui migranti c’è una posizione dei socialisti europei? Lo stesso Pd, con Minniti, è il precursore  della lotta contro le Ong di cui oggi in Italia si raccolgono gli amarissimi frutti con Salvini. 

Una delle scelte che hanno determinato la nostra sconfitta. Abbiamo sdoganato la lettura del fenomeno migratorio delle destre. Lo dico da tempo, da quando abbiamo cominciato a chiederci `quanti ne arrivano` anziché `perché partono`, una lettura che poi ci ha portato a dichiarazioni allucinanti, tipo che la democrazia è messa a rischio dagli sbarchi e non dalle mafie o dall’esclusione sociale. Qualche giorno fa Gentiloni ha rivendicato la diminuzione degli sbarchi dicendo che `abbiamo fatto fare meno affari agli scafisti`. Falso: gli scafisti hanno riconvertito le attività e si sono messi a gestire lager e vendere schiavi. È accettabile da una forza di sinistra?

Risponda lei.

Da me no. C`è chi si sorprende che il 60 per cento dia ragione a Salvini. A me sembra un miracolo che il 40 ancora no, nonostante il silenzio anche nostro. L`Espresso ha pubblicato un`inchiesta in cui si dice che questi lager sono stati costruiti su sollecitazione e forse finanziamento dei servizi. Sarebbe allucinante, appena ci sarà il Copasir mi occuperò di segnalare la questione.

Il Pd va ripensato, dice Martina. Ma per lei le coalizioni non servono. E allora che serve? 

Oggi si è cementato un blocco politico che cuba più del 50 per cento del consenso degli italiani. C’è un solo italiano che si aspetta da noi che ricomincino le dispute sulle coalizioni larghe o strette? Non credo. Il tema è fare un racconto nuovo, cose alternative a quel blocco. La sinistra ha perso l’egemonia culturale. La responsabilità è nostra ma anche degli intellettuali che hanno giocato con certi argomenti senza vederne i rischi. Anche noi abbiamo cavalcato alcuni slogan sui costi della politica.

Nel Lazio Zingaretti ha vinto con una coalizione larga. 

Sì, e con la destra divisa. Fosse stata unita avremmo perso. Il punto non è quanto allarghi la coalizione ma quanto convinci i cittadini. Rincorrere ceto politico non serve.

Da qualche parte dovrete pure iniziare per rimettere insieme una maggioranza. 

Non c’è dubbio. Ma la soluzione non è rimettere insieme vecchi amici come me e Stumpo (Mdp, ndr). Dobbiamo partire da un progetto che convinca i cittadini. Siamo stati percepiti come establishment perché a volte lo abbiamo difeso, di più nell’ultimo anno.

Ma Renzi non è il `nuovo`. Il Pd si può rigenerare se Renzi resta il più influente dei suoi dirigenti? 

Per un pezzo di ceto intellettuale e politico che si autodefinisce di centrosinistra, sinistra era essere contro Renzi. Ora Renzi si è dimesso. Dobbiamo continuare a discutere della purezza del suo sangue mentre la destra chiude i bambini in gabbia? Ripartiamo per inclusione, non per esclusione, ciascuno si misurerà sulle nuove idee. Discutiamo seriamente fino in fondo. Dobbiamo decidere cosa portare nella fase nuova e cosa va riconosciuto come un errore.

La legge Fornero e il jobs act sono stati errori? 

Lo sono stati la linea sugli immigrati, l’idea della democrazia come costo, il federalismo sbagliato. Invece il mercato del lavoro oggi è meglio di 5 anni fa. Infatti chi ha costruito un partito contro quelle scelte ha preso pochi voti.

Molti maggiorenti vogliono il congresso subito. Lo convocherà? 

Convocherò l’assemblea il 7 luglio e lì decideremo. Tutti invocano un congresso costituente. Con le nostre attuali regole il congresso è una conta su dei nomi che serve a ridefinire gli equilibri interni del Pd. Per aprire una fase costituente bisogna invece ripensare il Pd, le sue regole, darsi il tempo che serve per coinvolgere chi non ci ha più votato.

Non è che volete tenervi Martina segretario perché garantisce gli equilibri proprio con i renziani? 

Io mi sento garantito dalle mie idee, non da quello che decideremo il 7 luglio. Chi ha idee le può far vivere in un congresso o in una discussione più larga. Chi non le ha si affanna sulle procedure.

Il segretario del Pd sarà ancora il candidato premier? 

La legge elettorale non prevede il candidato premier, il candidato premier di fatto già non c’è più. Ma resto dell’idea che il leader del Pd sia scelto dagli elettori con le primarie e non dagli editori con i loro giornali.

 

Intervista di Carlo Bertini, La Stampa, 26 marzo 2018

Dopo esser restato fuori dalle trattative sulle Presidenze, il Pd si renderà indisponibile pure per la formazione del governo, presidente Orfini?
«Dopo una sconfitta come quella subita, il posto del Pd è all’opposizione. Tanto più che i vincitori sono due poli oggi fusi tra loro programmaticamente e culturalmente. Quanto avvenuto sulle Presidenze è un fatto politico, che prefigura la nascita di un nuovo Pentapartito con le quattro sigle di centrodestra e i 5stelle».

Tranne lei e Renzi, mezzo partito vorrebbe scongiurare un governo Lega-5Stelle, considerandolo una china pericolosa?
«C’è un atteggiamento paternalista nei confronti degli elettori, che è una delle ragioni della sconfitta. Se così grande parte del Paese ha scelto loro o noi diciamo, come il brano degli Zen Circus, che “la democrazia semplicemente non funziona”, o ne prendiamo atto. Chi ha vinto ha diritto e dovere di governare».

Porta sbarrata al dialogo con i 5Stelle?
«Questa idea che il M5S sia una costola della sinistra è sbagliata. È evidente che i loro argomenti non avrebbero potuto che sfociare a destra e così è accaduto. Quando usi la delegittimazione delle istituzioni, o separi il tema del lavoro dalla dignità e lo riduci solo al salario sostituendolo col reddito di cittadinanza, o quando sull’immigrazione dici cose speculari a Salvini, lo sbocco non può che essere quello di un’alleanza con la destra, che si sta cementando in queste ore. Il tema è capire che posizionamento dobbiamo avere noi per tornare a vincere. Ma portare il Pd con M5S significa liquidare il Pd. E chi viene dalla mia esperienza, non accetterà mai di estinguere la storia della sinistra italiana portandola ad essere l’ancella della Casaleggio e associati».

È pensabile una vostra astensione per far partire un governo di centrodestra?
«Quando dico opposizione intendo anche alla destra».

Far parlare i vostri ¡scritti, come l’Spd, o il popolo delle primarie, sarebbe una bestemmia?
«Il referendum è uno strumento previsto dallo statuto, finora mai usato. Ma credo che in questo caso non serva, poiché c’è stata una decisione unanime in Direzione».

Anche il Colle non gradisce questa chiusura a riccio, giusto?
«Ascolteremo con la consueta attenzione quando andremo alle consultazioni. Abbiamo la massima fiducia e rispetto per il lavoro difficile che dovrà fare Mattarella, ma il compito di dirigere il Pd non può essere scaricato sul capo dello Stato. Un errore che facemmo in passato, quando al momento di varare le larghe intese con Berlusconi non ci prendemmo le nostre responsabilità, votando un documento ridicolo che delegava la scelta al Colle».

Ma di fronte a queste due linee divaricanti sarebbe il caso di fare chiarezza con un voto? C’è la prima occasione domani per la scelta dei capigruppo.
«Certo, o si trova un accordo sulla linea politica, o è inevitabile che ci sia una discussione e una decisione anche sugli interpreti che andranno a riportarla al Colle. Io sono tra quelli che lavorano per un’elezione con il consenso più largo possibile dei capigruppo e degli uffici di presidenza di Camera e Senato. Naturalmente l’unità è figlia della condivisione di una linea politica. E confesso di esser rimasto sconcertato che dopo aver votato la scelta di stare all’opposizione, larga parte dei gruppi dirigenti Pd, dal giorno dopo, abbiano messo in campo una linea opposta».

Qualche nome?
«È tutto esplicito. E anche la richiesta di partecipare alla discussione sulle presidenze delle Camere era considerata da qualcuno come primo passo per un accordo di governo».

Opposizione o dialogo sono due linee che svelano opposte visioni strategiche. Il Pd rischia un’altra scissione?
«Gli ultimi che se ne sono andati sono la dimostrazione che non c’è spazio politico a sinistra del Pd. Credo che dobbiamo capire come riconquistare il centro della scena correggendo alcuni errori. Abbiamo pagato un alto prezzo e abbiamo il dovere di fare un’analisi seria di cosa è accaduto. Se insegui i 5stelle sull’antipolitica, favorisci il voto a loro, se invece sostieni che l’immigrazione possa mettere a rischio la democrazia, legittimi il voto a Salvini».

Si riferisce a Renzi e Minniti?
«Sono il presidente del partito e le responsabilità sono prima di tutto mie».

Che possibilità ha Martina di essere confermato segretario tra un mese?
«A metà di aprile svolgeremo la nostra assemblea. Maurizio si è caricato il ruolo più delicato e lo sta svolgendo con sapienza. E se vorrà continuare questo lavoro, l’assemblea farà le sue valutazioni, ma ovviamente partirà da lui».

Cambierete lo statuto, per separare i ruoli di segretario e candidato premier?
«Io sono contrario, abbiamo bisogno di modificarlo con una riforma organizzativa, cui peraltro ho già lavorato in questi anni, ma senza toccare le primarie: la forte legittimazione della leadership è garanzia della sua autonomia dalle pressioni esterne».

fidati del futuro

Sta per iniziare un mese decisivo per il nostro paese, nel quale sceglieremo da che parte andare. Se verso la rassegnazione, o verso la fiducia. Se verso il passato, o verso il futuro. Destre e populisti giocheranno la propria campagna elettorale puntando su due fattori: promesse irrealizzabili e paura. Noi vogliamo invece parlare d’altro, perché siamo altro. C’è chi vorrebbe che la nostra società e i nostri quartieri si chiudessero sempre di più, che città spezzate divenissero focolai di ansie e insicurezze, che il racconto negativo di tutto ciò che è altro o diverso, dalle persone ai luoghi, cancellasse ogni curiosità, ogni speranza, ogni impegno. Noi no: perché ci fidiamo del nostro Paese, del nostro collega di lavoro, del nostro compagno di studi, del nostro vicino di casa, della strada e del quartiere che viviamo o che attraversiamo. È questo, oltre i programmi dei quali discuteremo – così come delle cose buone fatte e delle cose invece da correggere – quello che chiederemo ai nostri militanti, simpatizzanti, elettori, ai cittadini che incontreremo nelle piazze e nei mercati, nei quartieri popolari e nelle strade di periferia: #fidati degli altri, #fidati del futuro. Fidati di ciò che hai realizzato e di ciò che puoi ancora realizzare, fidati del tuo impegno, fidati dei luoghi che vivi: e fidati del futuro, che non è una promessa irrealizzabile, ma l’unica prospettiva concreta, reale, che distingue una politica di cambiamento da una di conservazione. L’unica a cui vale la pena dedicare se stessi.

Per questo ho scelto di candidarmi dove ho trascorso la maggior parte del mio tempo negli ultimi tre anni: nella periferia romana. Sarò in quei luoghi  che spesso vengono associati esclusivamente a questioni di marginalità,  nascondendo, quasi cancellando, quanto invece di buono, e di bello, c’è, resiste, cresce, produce innovazione sociale ed economica, racconta storie meravigliose di impegno, volontariato, impresa. Ecco, sarò proprio e soprattutto qui per raccontare di quanta fiducia esiste nonostante le difficoltà, e di come questa fiducia assieme al futuro che rappresenta merita di essere protetta e coltivata da chi la vorrebbe schiacciata dall’odio e dalla rassegnazione. Nonostante sia una sfida difficile, soprattutto nel mio collegio dove partiamo da quasi venti punti di svantaggio, vi assicuro che sarà davvero una bella campagna elettorale. Anzi, lo sarà soprattutto per questo. Perché come ho provato a spiegare in questi anni, è proprio dove è per noi più difficile che si deve andare. È in quei luoghi dove nascono nuovi conflitti e nuove fratture che la sinistra serve di più. È quella casa nostra. #Fidati

Lettera di Matteo Orfini e Matteo Renzi, La Repubblica, giovedì 21 dicembre

Caro Direttore, più volte in questi giorni Repubblica ha parlato della Commissione di inchiesta sulle banche come di un autogol del Pd. Rispettiamo il giudizio ma vogliamo rivendicare con forza, invece, la nostra scelta. Le perdite lorde cumulate delle banche italiane che hanno registrato criticità nel periodo 2011-2016 ammontano a circa 44 miliardi di euro. A tale cifra vanno aggiunti i miliardi persi da decine di migliaia di piccoli azionisti e detentori di obbligazioni subordinate, in primo luogo delle due popolari venete non quotate, le cui azioni erano state fissate arbitrariamente a prezzi non di mercato, del tutto irrealistici, che poi sono stati brutalmente azzerati. Una immensa platea di piccoli risparmiatori è stata letteralmente massacrata. Davanti a un disastro di queste proporzioni può una politica seria non affrontare la questione?

Il populista dà la colpa al sistema e urla contro le banche. Ma chi crede nella politica che propone? Il riformista che vuole cambiare davvero le cose che fa? Intanto fa chiarezza. Perché chiarire le responsabilità è l’unica soluzione per evitare che migliaia di altri risparmiatori debbano perdere in futuro i propri risparmi. Mettere la polvere sotto il tappeto in questi casi non solo non basta ma è dannoso. Hanno sbagliato i manager che hanno fatto fallire le banche, certo. Hanno sbagliato gli amministratori incapaci o addirittura complici di disegni criminosi. Hanno sbagliato i politici che non hanno avuto il coraggio di fare in Italia ciò che si è fatto in Germania o Spagna, quando ancora le regole permettevano l’ intervento pubblico. Ma è mancato anche – in molte circostanze – un sistema di vigilanza e controllo degno di questo nome.

Da parte delle strutture preposte come onestamente, anche se timidamente, riconosciuto nelle audizioni della Vigilanza istituzionale. Qualcosa non ha funzionato nelle strutture preposte: dirlo non ci serve per una sterile rivendicazione sul passato quanto per costruire un futuro più solido. E anche nella vigilanza della società civile che mai ha messo al centro del dibattito la questione bancaria senza demagogia. A cominciare dalle realtà editoriali che hanno sempre faticato non poco a spezzare il doppio filo di collegamento con il mondo del credito.

Su questi temi il PD non ha paura di niente e di nessuno. Rivendichiamo ciò che abbiamo fatto in questi anni a cominciare dalla riforma delle popolari e delle banche di credito cooperativo. Chissà cosa sarebbe accaduto al sistema italiano se nel gennaio 2015 non avessimo fatto quel decreto legge per le popolari. Rivendichiamo tutti i salvataggi dei correntisti e dei posti di lavoro, quelli riusciti e quelli soltanto tentati: l’ipocrisia di chi finge di considerare improprio un intervento a tutela dell’economia del territorio è pari solo alla miopia di chi non vede che i veri scandali si sono potuti compiere perché non vi era la giusta attenzione da parte dei media e della politica. Rivendichiamo l’operazione Atlante che ha impedito tra gli altri la distruzione di un pezzo fondamentale del sistema bancario, segnatamente Unicredit, come sanno tutti gli addetti ai lavori e non solo loro.

La Commissione parlamentare di inchiesta ha acceso un faro autorevole su tutto ciò e la sua attività è stata utile. Lo vedremo nella relazione finale. Le polemiche dureranno ancora qualche giorno, i risultati di questa commissione saranno utili per qualche anno. Certo, i media hanno spesso dato più spazio alle vicende della Banca Etruria, le cui perdite rappresentano poco più dell’ 1,5% delle perdite cumulate delle banche italiane in crisi degli ultimi anni, che non a ciò che ha determinato il restante 98,5% di perdite! Senza contare l’azzeramento delle azioni delle due popolari venete non quotate. E anche su Etruria l’attenzione morbosa è stata sulle agende, sugli incontri, sul gossip, senza toccare il vero punto: che non c’è stata alcuna pressione ma una doverosa attività di informazione e attenzione.

Quando c’è stato da commissariare, noi abbiamo commissariato senza riguardo ai nomi e ai cognomi. Nessuno ha avuto favoritismi, tutt’altro. Ma proprio per questo siamo seri: davvero può essere credibile l’attenzione spasmodica alle vicende di una piccola banca che comunque il Governo ha trattato esattamente come le altre nelle stesse situazioni? Non suona stupefacente il fatto che si insista in modo ossessivo su una singola vicenda – peraltro del tutto legittima – e si rifiuti di guardare il problema nella sua gravità e complessità? Adesso che i lavori della Commissione volgono al termine vogliamo dire con forza che un partito politico di sinistra ha il dovere di indicare cosa non funziona nel mondo del credito e provare a cambiare lo status quo senza alcun riguardo ai poteri forti e ai pensieri deboli che questo Paese esprime.

Vogliamo dire che la politica ha il diritto e il dovere di fare la propria parte senza delegare interi settori alla tecnocrazia e agli interessi tradizionali. Chi come noi non ha scheletri negli armadi, chi non ha niente da nascondere dice con forza e a viso aperto che mentre la Commissione va verso la chiusura dei lavori si apre la vera questione: riuscire finalmente a togliere l’ argomento banche dalle mani dei populisti e provare a cambiare sul serio. E anche se i media, in queste ore, si sono occupati di altro, noi continueremo con forza a rivendicare il diritto e il dovere della politica riformista di non cedere alla demagogia e al qualunquismo.

Intervista di Francesca Schianchi, La Stampa, sabato 2 dicembre

Matteo Orfini, presidente del Pd, lei è partito di nuovo all’assalto di Bankitalia: state usando questa vicenda per fare campagna elettorale?
«E’ un’obiezione curiosa: il fatto è che, per mesi, alcuni pezzi dell’editoria e della politica, inclusa la presunta sinistra esterna al Pd, hanno raccontato una storia. Che oggi si sta sgretolando in Commissione».

Salvini insiste che il «disastro delle banche» è colpa del Pd.
«Salvini chiami Zaia e si faccia raccontare chi sono Consoli e Zonin: scoprirà che col Pd non c’entrano nulla».

Voi cantate vittoria, ma il lavoro non è ancora finito. Non sarebbe consigliabile più cautela?
«Ma noi stiamo lavorando da mesi. E in tutti i casi emergono temi ricorrenti: manager spregiudicati e in alcuni casi pericolosi e un meccanismo di vigilanza che non ha funzionato, con difficoltà di dialogo tra Consob e Bankitalia. E poi una cosa molto inquietante è come Bankitalia abbia potuto considerare una banca in difficoltà come la Popolare di Vicenza un perno intorno a cui aggregare parte del sistema».

Bankitalia nega di aver incentivato l’aggregazione tra Popolare di Vicenza e Banca Etruria.
«Dire le bugie è peccato. Bankitalia conosce le carte che ci ha consegnato e che sono secretate, e noi le abbiamo lette».

Non è un po’ troppo semplicistico scaricare sempre tutte le colpe su Bankitalia?
«Alla base ci sono alcuni comportamenti, a volte addirittura fraudolenti, degli amministratori: ma se il sistema di vigilanza avesse funzionato bene, probabilmente le crisi si sarebbero potute evitare. Consob ci ha detto che, se avesse avuto a disposizione tutti i dati che aveva Bankitalia, in alcuni casi non avrebbe agito come ha fatto».

Pensa che Visco rischi di dover rassegnare le dimissioni?
«Il nostro giudizio su Visco lo abbiamo dato esplicitamente quando abbiamo fatto la mozione in Parlamento. Dal momento in cui il governo ha deciso di riconfermarlo, è il governatore e rispettiamo il suo lavoro».

Ma secondo lei l’attività della Commissione può spingerlo alle dimissioni?
«Visco ha chiesto di venire in Commissione per chiarire: lo ascolteremo attentamente. Il nostro lavoro serve a evitare che queste crisi si ripetano, non a processare questo o quell’ altro».

A sentirvi non si direbbe. Secondo i retroscena anche Palazzo Chigi e il Quirinale sarebbero preoccupati dai vostri toni
«A me non risulta, e comunque sarebbe curioso se nel momento in cui si insedia la Commissione che ha come unico obiettivo la ricerca della verità, qualcuno guardasse la cosa con preoccupazione».

Intervista di Giovanna Casadio, la Repubblica, domenica 12 novembre

«Riconosco al governo e al ministro Marco Minniti di avere messo in campo una politica per i migranti, unico paese in Europa, ma è indispensabile rivedere alcuni punti e su questo Emma Bonino ha ragione». Matteo Orfini, il presidente del Pd, condivide la necessità di modifiche e aggiustamenti.

Orfini, cosa risponde alla leader radicale Bonino che chiede al Pd di cambiare linea sui migranti come pre-condizione per un dialogo politico con Renzi?
«Emma Bonino ci ricorda che stiamo parlando di vite umane. Ecco, mi fermerei al confronto di merito. Non voglio usare una vicenda del genere per discutere di alleanze ma le preoccupazioni di Bonino, le cose che io ho detto nei mesi passati e l’impegno del governo mi pare siano basati su obiettivi simili».

Seguite quindi la traccia e l’invito a cambiare politiche sui migranti della leader radicale?
«A me sembra che ci sia da discutere l’efficacia di questa o quella misura, ma se gli obiettivi sono gli stessi e cioè salvare vite, garantire i diritti umani e favorire l’integrazione, non faremo fatica a trovare un percorso comune».

Lei è stato critico in passato sulle politiche migratorie del governo, in questo d’accordo con il ministro Delrio.
«Guardi, il governo ha fatto cose positive, perché è giusto coinvolgere l’altra sponda del Mediterraneo. È giusto immaginare politiche di integrazione nel nostro paese. È giusto combattere in Europa affinchè ci sia una gestione condivisa. Però occorre stare molto attenti su alcuni aspetti, quelli appunto denunciati da Bonino. Il primo punto è che le Ong siano alleate, non nemiche. Invece, non da parte del governo, ma c’è stata una campagna che le ha demonizzate».

Tenere lontane le Ong non crede sia sospetto?
«Tutti devono rispettare le regole. Ma di fronte a scene come quella dell’altro giorno dello scontro tra libici e Ong, in cui i migranti muoiono e nessuno interviene, è opportuno riflettere. E questo è il secondo punto. Va bene rivendicare la diminuzione degli sbarchi, ma se le persone non arrivano più perché muoiono nel deserto o perché rinchiuse in un lager, non abbiamo risolto un bel nulla».

L’accordo con la Libia va rimesso in discussione?
«Non è l’accordo con la Libia ad essere sbagliato, ma quel paese deve garantire dignità, legalità e rispetto dei diritti umani. Mentre ci sono situazioni fuori controllo».

Questa è una richiesta del Pd al governo?
«Minniti ha più volte detto che condivide questa preoccupazione. Il Pd lo va ripetendo. E l’altro punto che intendevo sollevare è che di fronte al clima che c’è nel paese noi dem dobbiamo essere il principale argine culturale e politico al razzismo».

Ma non siete neppure riusciti ad approvare lo ius soli.
«Dobbiamo assolutamente riuscirci. Mesi fa dissi che l’unico strumento era che il governo mettesse la fiducia, resto di questa idea. Capisco le preoccupazioni di chi ha paura che sia una misura impopolare, ma un grande partito di sinistra, quale il Pd è, di fronte a una misura giusta ma impopolare la fa e si impegna a spiegarla all’opinione pubblica».

Intervista di Luca De Carolis, il Fatto Quotidiano, venerdì 10 novembre

Nega un soccorso “rosso”, anche indiretto: “Nel ballottaggio di Ostia si sfideranno due destre, per noi sono la stessa cosa”. E boccia la manifestazione per la legalità indetta nel municipio dalla sindaca di Roma, la 5Stelle Virginia Raggi: “Invece di strumentalizzare aderisca a quella convocata dalla Federazione nazionale per la stampa e da Libera per il 16 novembre. Lì noi ci saremo”. Matteo Orfini, presidente del Pd nazionale ed ex commissario del partito romano, chiude la porta all’iniziativa della sindaca.

Quello di Raggi era un invito rivolto a tutti, “a prescindere dalle appartenenze”. Non era il caso di accettarlo?

La manifestazione unitaria è quella del 16 novembre, indetta dalla Fnsi, che rappresenta i giornalisti aggrediti a Ostia. Credo che la sindaca di Roma avrebbe il dovere di aderire come Comune a quell’evento, rinunciando invece a quella che ha convocato tramite il blog di Beppe Grillo. Se vuoi unire, da sindaca di tutti i romani, non adoperi un portale di propaganda politica.

Il Pd di Roma ha bollato la manifestazione indetta dal Comune come “strumentale”. Condivide?

È quello che ho appena detto. Non si mettono bandierine su cose come queste.

Lo fa per pescare voti a sinistra?

Temo che il M5S non abbia il curriculum per farlo, proprio come la destra. Quando io e il sub-commissario del Pd nel X Municipio Stefano Esposito abbiamo fatto la battaglia contro la mafia locale, ci siamo presi gli insulti di Roberto Spada sui social network. E gli altri partiti ci hanno lasciati soli: compreso il M5S .

Oggi lei ed Esposito su Democratica accusate: “Chiedemmo più volte ai dirigenti del M5S, apertamente sostenuto dalla famiglia Spada nelle elezioni del 2016, di prendere le distanze da loro e dalle finte associazioni antimafia. La risposta? Barillari, consigliere regionale, querela Esposito, Luigi Di Maio querela Orfini. Conferma?

Sì. A Ostia ci sono decine di finte associazioni antimafia, che hanno sempre sostenuto il M5S , e che hanno rapporti in particolare con il consigliere regionale Davide Barillari e con l’attuale capogruppo in Campidoglio, Paolo Ferrara. E sono le stesse associazioni che su Facebook intrattenevano relazioni affettuose con Roberto Spada e sua moglie.

Quindi gli Spada avrebbero sostenuto i 5Stelle? Il sillogismo non è affatto automatico.

Diciamo che Barillari e Ferrara non erano consapevoli delle relazioni tra le associazioni e Spada. Dopodiché noi segnalammo questi rapporti al M5S , anche in via privata. E sono arrivate le querele di Di Maio, archiviata, e di Barillari.

Potrebbero opporle che il X Municipio l’hanno sciolto per mafia quando lo guidava il Pd. E che l’ex presidente dem è stato condannato in primo grado.

Quel presidente l’ho fatto dimettere io, prima che fosse indagato. Abbiamo fatto un lavoro enorme per rigenerare il partito, prendendoci un mare di critiche anche da dentro il Pd. Ma nello stesso tempo scoprimmo la rete di finte associazioni, che ci diffamarono e insultarono.

Come fa a dire che sono finte?

Le segnalammo anche alla commissione Antimafia, che ha confermato la nostra analisi.

Il M5S ha preso le distanze dagli Spada, più volte.

Ne sono felice. E dico: finalmente. Ma c’è qualcuno che questa battaglia l’ha sempre fatta.

Tanti elettori del Pd voteranno comunque i 5Stelle pur di non far vincere la destra.

Io penso che i 5Stelle siano di destra. Hanno votato contro le unioni civili, sono contro lo ius soli e sull’ immigrazione spesso rincorrono Matteo Salvini.

Mdp e Sinistra italiana però annunciano il loro sostegno nel ballottaggio.

Sono compagni confusi, a forza di spostarsi a sinistra sono finiti a destra.

Voi non ci siete neppure arrivati al secondo turno.

Abbiamo fatto delle scelte, recidendo i rapporti con balneari e affini. C’era un prezzo da pagare, ma siamo pur sempre il secondo partito nel Municipio. Con un futuro.