Intervista di Luca Liverani, Avvenire, venerdì 22 maggio

Risposte chiare dalla ministra dei Trasporti De Micheli. Una commissione d’inchiesta sulle stragi nel Mediterraneo. E una profonda ridiscussione del “decreto missioni” riguardo la collaborazione con la Libia: diversamente, non avrà il voto di un ampio e trasversale fronte di parlamentari della maggioranza. Matteo Orfini – ex presidente del Pd, due volte a bordo della Sea Watch – ha idee chiare sul caso sollevato da Avvenire , che ha documentato come Malta abbia dirottato un gommone di profughi verso l’Italia.

Una pagina oscura delle politiche migratorie.
Sì. E pone interrogativi alla politica, al governo, alla comunità internazionale. Il governo chiarisca immediatamente: l’Italia sapeva? Ad Avvenire giorni fa la ministra dei Trasporti Paola De Micheli ha dichiarato che l’Italia ha sotto controllo tutto ciò che avviene nel Mediterraneo. O quella affermazione è… eccessiva, oppure sapeva come Malta agiva. L’ha detto solo per tranquillizzare chi, come noi, era allarmato per i barconi alla deriva? Il governo si muova a livello diplomatico con Malta. Quanto avvenuto è l’ennesimo atto illegale nel Mediterraneo: la barca era in acque territoriali maltesi e andava soccorsa.

Fornire un motore di ricambio assomiglia molto al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina
Un comportamento degno di scafisti, non di uno stato. E l’ennesimo caso oscuro. Come la Asso 28 che riportò migranti in Libia. O i rapporti opachi tra apparati libici e italiani. E ora di istituire una commissione di inchiesta sulle stragi nel Mediterraneo. Al di là delle inchieste giudiziarie si appurino le responsabilità politiche. Lo chiediamo da più di un anno. Spetta al Parlamento, non al governo. I presidenti Fico e Casellati e i gruppi non tergiversino più.

È ora di realizzare la discontinuità dalle politiche migratorie dei governi Conte 1 e Gentiloni?
Elementi, parziali, ci sono stati: vedi la regolarizzazione di parte degli irregolari. Ma non basta. C’è stato anche il primo morto, il tunisino finito in mare dalla nave in quarantena. La chiusura dei porti motivata dalla pandemia è una pagina triste. Ma tra poco arriverà in Parlamento il decreto missioni internazionali…

E cosa c’entra con le migrazioni?
È lo strumento usato per finanziare gli apparati libici, che hanno dimostrato di essere tutto fuorché istituzioni affidabili. Un conto è l’aspetto umanitario, altro è mantenere l’impianto dello sciagurato Memorandum Italia-Libia, voluto dal governo Gentiloni. Armiamo una banda di trafficanti che si fa chiamare “guardia costiera libica”, e non siamo più disponibili a votare norme che producono sistematiche violazioni dei diritti.

Un avvertimento molto chiaro
Preferisco parlare di posizione politica. Sul rispetto dei diritti umani non c’è disciplina di partito o di maggioranza. All’ultima assemblea del Pd abbiamo votato all’unanimità un documento che diceva “basta accordi con la Libia”. O il memorandum cambia, o non avrà i nostri voti. Non solo di parte del Pd. C’è l’indisponibilità credo di tutta Leu, ma anche in Italia Viva e M5s.

Intervista di Giulia Merlo, Il Dubbio, 1 maggio 2020

«Ho apprezzato lo sforzo di aver illustrato in modo articolato i provvedimenti del governo, molto meno la rivendicazione dell’utilizzo del Dpcm. La ripartenza va costruita in Parlamento», perché «questa crisi non è una livella sociale ma un moltiplicatore di disuguaglianze e per uscirne serve visione politica».

Insomma, esame non superato per il presidente del Consiglio?
Ho trovato positivo lo sforzo di Conte di fugare i dubbi sui provvedimenti del governo e di rassicurare il Paese, mi ha convinto decisamente meno la rivendicazione del Dpcm. In questa fase così delicata in cui è stato necessario ridurre le libertà individuali e i diritti dei cittadini, non possiamo permetterci una ulteriore compressione della discussione democratica attraverso l’utilizzo di strumenti diversi da una norma primaria.

Questo ennesimo Dpcm è stato la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso?
Io stesso ho difeso lo strumento quando è stato usato nella fase di maggiore emergenza. Come ha detto Conte, si gestiva una situazione in evoluzione continua e serviva una risposta necessariamente rapida. Ora, però, siamo davanti a un cambio di fase e il Dpcm non è lo strumento corretto. L’emergenza era una fase eccezionale e come tale andava gestita, la ripartenza invece richiede la stesura di un progetto, che va preparato e discusso nel tempio della democrazia, ovvero il Parlamento. A decidere come far ripartire il Paese devono essere le Camere, non le task force dei tecnici. 

Contesta la costituzione delle task force di tecnici?
Contesto il fatto che la sovranità possa essere ceduta a gruppi di esperti scelti dal governo. Ripeto: per ripartire serve un progetto che va costruito in Parlamento, dove può svolgersi il confronto tra tutti gli attori coinvolti. Poi, costruita la cornice, sarà possibile agire con strumenti più rapidi come i decreti. Ma in una fase del genere abbiamo bisogno di più democrazia, non di meno.

Però nella maggioranza di governo c’è anche il Pd, possibile che Conte non si sia confrontato con gli alleati prima di scegliere la strada del Dpcm?
Io questo non glielo so dire. Il Pd non riunisce da mesi la direzione, nemmeno via web, e le assicuro che nei gruppi parlamentari non si è mai discusso del Dpcm. Comunque, non ritengo si tratti di un tema che si può ridurre agli equilibri interno alla maggioranza, perché in gioco ci sono gli equilibri istituzionali del Paese. Le scelte sulla ripartenza devono Passare per il Parlamento e il Pd dovrebbe difendere il sistema parlamentare, invece che regalarlo a chi lo usa strumentalmente come sta facendo in questi giorni la destra di Salvini.

Eppure, osservando le reazioni dell’opinione pubblica in questa fase di emergenza, il dualismo tra tecnici e politici sembra lo abbiano vinto i tecnici. Rischiate l’estinzione?
Se io pensassi questo vorrebbe dire che non crederei più nella democrazia. Gli esperti servono ed è importante che esprimano il loro punto di vista, ma ognuno ha un ruolo: le decisioni politiche le assume chi governa e le leggi le fa il Parlamento. Le misure fin qui assunte dal governo sono state positive, ma hanno bisogno di essere corrette e modificate in aula, perché le strategie non possono essere imposte ma vanno discusse. Ripeto, non ci servono più task force ma più politica, che sappia restituire la visione di come sarà l’Italia dopo questa crisi, dica in che direzione si va e con quali strumenti.

E in che direzione si va, secondo lei?
In questo momento il Paese sta soffrendo, le persone non riescono ad andare a fare la spesa, le imprese sono in difficoltà e in molti hanno perso o stanno perdendo il lavoro. Serve una discussione collettiva sulla ripartenza, tenendo ben presente che il rischio del virus è ancora presente ma anche bisogna pensare al futuro. Sul fronte economico è stato fatto uno sforzo imponente in particolare dal ministro Roberto Gualtieri, che è riuscito a tamponare la situazione grazie alla sua capacità negoziale in Europa. Ora, però, serve un passo in più.

Quale sarebbe?
Quello di capire se, passata la crisi, vogliamo riportare nel futuro tutto il sistema industriale così com’è oggi, incluse le sue debolezze, oppure se vogliamo inserire elementi di innovazione. Questo virus e la conseguente crisi economica non è una livella sociale ma un moltiplicatore di diseguaglianze: vale a livello europeo dove i paesi più forti ne stanno uscendo meglio rispetto a noi, ma vale anche all’interno del Paese. Chi aveva le spalle coperte ha assorbito meglio il colpo, chi invece stava peggio oggi è al collasso. Metaforicamente, la distanza è tra quelli che hanno passato la quarantena nella loro villa con piscina e quelli che invece sono stati in una casa popolare senza un balcone.

Cosa propone, quindi?
Dobbiamo incidere sui meccanismi che generano le disuguaglianze e questo vuol dire affrontare alcuni nodi. Per esempio, l’Italia è un paese che tassa molto i redditi e per nulla i patrimoni. E’ possibile discutere di redistribuire le risorse toccando i patrimoni, senza che questo venga vissuto come una bestemmia? O ancora, sosteniamo il sistema delle imprese, ma cerchiamo di indirizzarne la trasformazione verso modelli più economicamente sostenibili e con una migliore remunerazione del lavoro. Il paradigma è lo stesso: leghiamo le misure emergenziali a una visione di rinnovamento.

Addirittura accenna a una patrimoniale. Questo governo sarebbe abbastanza forte per farla?
Il governo è forte se è forte la maggioranza, per questo bisogna avere voglia di affrontare i nodi politici, che ci sono e sono enormi. Prenda il Mes, per esempio, e il no dei grillini.

Quello del Mes è uno dei nodi che verranno presto al pettine.
La posizione del Movimento 5 Stelle è incomprensibile. Grazie a una trattativa condotta in prima persona dal Ministro Gualtieri, abbiamo ottenuto di poter utilizzare il Mes nel settore sanitario senza alcuna condizionalità. E’ assurdo mandare il governo a trattare, portare a casa il risultato e poi dire no grazie. Questo è infantilismo politico. Per questo dico che è necessario riconoscere e sciogliere tutti i nodi politici interni alla maggioranza: il governo faccia una discussione vera e non riduca tutto alla dialettica tra ministri. Solo così si può andare avanti.

Intervista di Giulia Merlo, Il Dubbio, venerdì 31 Gennaio

Oggi c’è il vertice, spera in un passo avanti sulla cancellazione dei decreti sicurezza?
Le dico sinceramente che non lo so, però mi sembra che le dichiarazioni del governo siano tutt’altro che rassicuranti. Da quanto emerge, sembra confermata la volontà di recepire solo i rilievi del presidente Mattatella.

Un passo nella direzione giusta?
I rilievi del Colle riguardano aspetti importanti, ma per me la posizione del governo rimane comunque irricevibile. Lo dico in modo chiaro: l’imperativo deve essere l’abrogazione di quelle norme.

Insomma, non le piace la strategia dei piccoli passi…
Il perchè è molto semplice: il primo decreto sicurezza ha scassato completamente il sistema dell’integrazione e dell’accoglienza, ma non viene minimamente toccato dai rilievi del Quirinale e dunque rimarrebbe così com’è.

Sul banco c’è l’ipotesi di agire in due tempi, posticipando una riforma complessiva del sistema?
Non mi convince per nulla, perchè conosco la politica. Il rischio è che si faranno solo le modifiche minime, poi chissà quanto passerà prima che una riforma complessiva veda davvero la luce. Per questo dico che bisogna abrogare tutto il prima possibile.

Quanta condivisione c’è nel suo partito?
A parole tutti d’accordo. I principali dirigenti del Pd dicono che bisogna superare i decreti Sicurezza, il problema però è che non si passa dalle parole ai fatti.

I decreti Sicurezza spaventano?
Se è così, spero che si trovi il coraggio che fino ad ora è mancato. Anche perchè nel paese c’è una grossa spinta su questi temi e le piazze emiliane e non solo si sono riempite proprio contro la linea politica di Salvini. Noi non possiamo essere il partito che ha tolto la Lega dal governo ma si tiene le sue leggi simbolo: per rispondere a quelle piazze piene, abbiamo il dovere di cambiare.

Non è che si preferisca non tornare a parlare di migrazione perchè il tema è divisivo e rimette al centro la Lega?
Non so se il tema migratorio sia divisivo, so per certo però che è stato cavalcato in modo strumentale dalla destra, le cui parole d’odio hanno diviso il Paese. I dati dicono che sono aumentati i reati di violenza con radice discriminatoria, il che dimostra che quando si alimenta l’odio ci sono delle conseguenze. Noi abbiamo il dovere contrastare proprio questo e non di parlare d`altro. Anzitutto dando una lettura vera della situazione.

E quale sarebbe?
Che non c’è alcun nesso tra sicurezza e immigrazione ma che parlare di sicurezza significa parlare di sicurezza sociale: dobbiamo ricostruire le reti della comunità in modo da far sentire le persone meno sole e abbandonate nei momenti di difficoltà. Accanto a questo, vanno cambiate le politiche sull’immigrazione, a partire dall’abrogazione della Bossi-Fini e dei decreti sicurezza. Lo ripeto, servono subito due nuove leggi: una che regoli l’immigrazione, l’altra che riformi la cittadinanza.

Anche sullo ius soli l’iter sembra tutt’altro che scontato…
Ci sono tre proposte di legge: la mia, quella di Boldrini e quella di Polverini. Le audizioni sono finite, ora bisogna passare alla vera discussione delle norme. Se c’è la volontà politica, lo ius soli si può approvare in un paio di mesi.

C’è questa volontà politica? I 5 Stelle sono freddi, per usare un eufemismo.
I 5 stelle sono freddi perchè i decreti Sicurezza li hanno scritti loro, insieme a Salvini. In particolare il secondo, in cui le norme peggiori sono figlie proprio di emendamenti dei grillini. Capisco, dunque, la loro difficoltà sul punto, però siamo in un governo di coalizione tra forze molto diverse tra loro, dunque ognuno deve cedere su qualcosa.

Voi su cosa avete ceduto?
Noi abbiamo accettato la riforma del taglio dei parlamentari, contro cui avevamo votato con convinzione. Abbiamo modificato il nostro orientamento perchè dai 5 Stelle è arrivata una richiesta molto ultimativa, diciamo. Ecco, penso che adesso anche loro debbano sforzarsi di rivedere alcune posizioni, frutto di un’epoca ormai superata.

La domanda, allora, è se lo ius soli e abrogazione dei decreti sicurezza siano in cima alla lista, nell’agenda programmatica del Pd.
Questo va chiesto al segretario Zingaretti, io spero che questi siano tra i temi. Per me sono la priorità di sicuro e mi sembra anche che lo siano per le centinaia di migliaia di persone scese in piazza. La manifestazione delle Sardine di Roma si è chiusa proprio chiedendo l’abrogazione dei decreti di Salvini.

Oggi la ministra dell’Interno è Luciana Lamorgese, cosa è cambiato rispetto al Viminale di Salvini?
Sicuramente c’è un imparagonabile miglioramento nello stile, perchè il ministro non alimenta l’odio ma cerca di fare con correttezza il suo lavoro. Su alcuni temi, però, la discontinuità tanto invocata non si vede ancora, nè quando si lasciano in mare inutilmente e per troppi giorni i migranti nelle navi, nè quando si affronta con timidezza il dibattito sui decreti sicurezza.

Anche sul fronte degli accordi con la Libia non sono stati fatti passi avanti?
Domenica si rinnoverà e tre mesi fa il governo aveva annunciato modifiche sostanziali, che però non ci sono state. Il mio parere è che sia un errore gravissimo confermare senza modifiche il memorandum con un paese che ha dimostrato di non essere in grado di garantire i diritti umani. Così continuiamo a renderci complici di chi tortura, ammazza e massacra.

A breve tornerà il dibattito sull’incriminazione di Salvini per sequestro di persona sulla nave Gregoretti. E’ giusto che venga processato?
Assolutamente sì. Non sta a me dire se è colpevole o innocente, ma è giusto che affronti il processo. Io sono un garantista e per me significa garantire i deboli davanti agli abusi dei potenti: nel caso Gregoretti, il ministro aveva il controllo della forza pubblica ed è accusato di averla usata per privare della libertà decine di disperati. Ecco, io ritengo che si debba verificare se questo abuso c’è stato.

Salvini è sotto processo per aver fermato i migranti in mare, lei è salito a bordo della Sea Watch. Lo rifarebbe?
Il mio è stato un atto di opposizione e l’ho fatto esercitando il mio diritto di sindacato ispettivo. C’era una nave di disperati in mezzo al mare e io sono andato a misurare personalmente l’ingiustizia che veniva compiuta sulla loro pelle, perchè davanti all’orrore a volte si ha il dovere di opporsi anche fisicamente. Il mio è stato un gesto simbolico, ma credo sia stato giusto e lo rifarei.

Intervista di Arturo Celletti, Avvenire, domenica 12 gennaio

Matteo Orfini, lei un anno fa chiese quello che oggi chiede Zingaretti, ma tutti le dissero no. Perché?
Perché allora non era visibile quello che oggi tutti vedono. C’è un popolo che chiede un’alternativa radicale alla destra, a Salvini, al sovranismo. E ci sono le forze della sinistra che non riescono a parlare con quel popolo. Anzi che lo respingono. 

Vede allora una nuova consapevolezza?
Zingaretti un anno fa contestò il progetto che oggi propone. Disse che non serviva. Che sarebbe stato un errore sciogliere il Pd. Oggi, dopo mesi che guida il Pd, si rende conto che c’è un muro tra noi e un pezzo di Paese. E che bisogna rischiare.

Che significa rischiare?
Che bisogna mettere in moto un’operazione ambiziosa. Che per intercettare quel popolo di cui parlavamo bisogna sciogliere il Pd e dire a tutte le forze di fare la stessa cosa. Bisogna iniziare una nuova storia. Serve un foglio bianco su cui scrivere, tutti insieme, nuove regole, una nuova carta di valori…Si stracci lo statuto del Pd e si dica che quello che c’è stato fino ad oggi non c’è più. E poi si metta in discussione ogni posizione. Da quella di Zingaretti a quella dell’ultimo segretario di sezione.

La svolta del segretario è sincera?
Conosco il Pd. E’ il mio partito. E conosco le resistenze e le contrarietà al progetto. Le ho viste. Le ho ascoltate. Zingaretti ha disegnato un percorso, ora deve trasformare le parole in fatti. Ora deve fare cose. Perché sarebbe terribile se tutto si risolvesse in un grande titolo sui giornali.

Il progetto ha dei nemici?
Molti sono dentro il Pd, molti sono fuori al Pd. Nemici sono quelli che antepongono al progetto gli egoismi personali e di corrente. Ma se facciamo le cose bene, una grande partecipazione popolare travolgerà le resistenze.

E allora qual è la strada?
Esattamente questa. Mettiamo da parte gelosie di corrente e di partito. La strada è partire dal basso. E dare vita a comitati di fondazione in ogni città, anzi in ogni quartiere.

Che percorso auspica e che tempi immagina?
Non può essere una cosa frettolosa. Non si può creare un soggetto nuovo in un mese. Se devo immaginare un timing, direi una lista unitaria alle regionali di primavera che apra la strada al nuovo soggetto. Anche quando nacque il Pd facemmo prima una lista unitaria.

Se le chiedessi cinque priorità del nuovo soggetto?
Sbaglierei tutto se indicassi io le priorità. Queste vanno trovate e scritte insieme. Poi certo ci sono battaglie che il popolo della sinistra chiede e con le quali vanno fatti i conti. Bisogna rovesciare quell’idea di sicurezza che ha in testa Salvini, bisogna dire basta disuguaglianze.

Se nasce il nuovo soggetto, muore il governo?
No, il nuovo soggetto può rafforzare il governo Conte, ma il nuovo soggetto e il M5s sono forze alternative. L’alleanza finirà quando finirà questa fase emergenziale. Quel giorno torneranno a confrontarsi. Noi dobbiamo essere ambiziosi. Capire che un soggetto come quello che proveremo a costruire sarà la forza politica più forte nel Paese e avrà l’obiettivo di governare. Ma costruendo qualcosa di largo. Partendo da un punto irrinunciabile: si scioglie il Pd e si sciolgono tutte le forze della sinistra. Penso a Fratoianni. E penso anche a Calenda e a Renzi.

Intervista di Maria Teresa Meli, Corriere della Sera, domenica 17 novembre

Onorevole Orfini, venerdì Dario Franceschini ha detto che il Pd deve impegnarsi in tutti i modi per coltivare l’alleanza con i grillini. 
«Io penso che il modo in cui si è concepito questo accordo di governo sia il grande errore di questa fase. Per come la vedo io è un accordo tra forze alternative. Il che non mi scandalizza: in alcune fasi della vita del Paese si può governare con forze che sono culturalmente e politicamente alternative. Governammo con Berlusconi, possiamo governare anche con i 5 Stelle, ma appunto è una fase eccezionale. Il tentativo di trasformare un accordo emergenziale in un matrimonio politico e addirittura nell’incubatore di un nuovo centro sinistra è la ragione per cui questo governo è così fragile e il Pd è così debole».

Ma siete veramente così diversi voi e i 5 Stelle?
«Culturalmente e politicamente su tutti gli aspetti fondamentali siamo incompatibili. Il movimento non è una costola del centrosinistra, ma ha caratteristiche molto più simili alla destra radicale».

È possibile approvare lo Ius culturae con i 5 Stelle? 
«Io penso che uno dei problemi sia esattamente il modo in cui il Pd concepisce il suo rapporto con i 5 Stelle. Noi non possiamo essere un partito che si annulla in nome della stabilità di governo. Se l’unica cosa che noi diciamo è “non si possono fare proposte perché sennò il governo va in difficoltà” il governo diventa inutile e noi appaiamo solo un partito del potere, cosa che non siamo. Il punto è che noi dovremmo concepire in modo più dialettico questo rapporto. Noi facciamo cose che non condividiamo, per esempio il taglio dei parlamentari, perché era nell’accordo con i 5 Stelle, ma abbiamo anche il dovere di chiedere al Movimento 5 Stelle di fare lo stesso sforzo. Riempiamo il governo anche delle parole d’ordine della sinistra italiana che oggi sono assenti. Insomma, noi abbiamo fatto questo governo per impedire che Salvini andasse al potere e poi non cancelliamo le leggi vergogna fatte da Salvini? Che senso ha?». 

Parla dei decreti sicurezza?
«Già, noi diciamo che dobbiamo ritoccarli solo recependo i rilievi di Mattarella, ma non è un argomento sufficiente, noi dobbiamo abrogarli come avevamo promesso quando facevamo ostruzionismo contro quei decreti». 

Lei presenterà 5 ordini del giorno in assemblea.
«Si, cinque proposte che cercano di dare un minimo di anima al Pd. Sono semplici. Uno prevede l’abrogazione dei decreti, il secondo di chiedere agli alleati di approvare lo Ius culturae nei prossimi cento giorni, il terzo di approvare entro cento giorni la parità salariale, il quarto riguarda lo stop ai tirocini gratuiti. E poi c`è un quinto punto a cui tengo molto e cioè che il Pd torni a respingere una visione terribilmente giustizialista che considera il garantismo una brutta parola, il che porta con sé la richiesta di modificare alcuni punti della riforma Bonafede. Spero e credo che Zingaretti voglia farli suoi nelle conclusioni e che quindi possano essere approvati dall`assemblea. Aiuterebbero il Pd a risollevare uno dei suoi problemi».

Quale?
«Oggi non si sa cosa voglia fare il Pd. Se tu fermi uno per strada e gli chiedi cosa vuole la Lega lo sa, cosa vuole Di Maio lo sa, cosa vuole il Pd ti risponde “boh”».

Se gli alleati vi rispondono picche?
«Se ci rispondono picche su tutto vuol dire che non sono alleati. Non è che il concetto di alleanza può essere declinato come abbiamo fatto finora: noi diciamo sì a tutto quello che propongono i 5 Stelle e rinunciamo a chiedere quello che vogliamo noi. Questo produce lo scollamento tra un popolo che chiede sinistra e un Pd che non la offre. La piazza di Bologna è stato un esempio in questo senso. Un popolo che fa fatica a sentirsi rappresentato da un partito che non ha il coraggio di assumere posizioni decise».

Intervista di Roberta D’Angelo, Avvenire, martedì 29 ottobre

«In politica si vince o si perde, ma se perdi devi perdere per le tue idee. Consegnandoti alle idee degli altri puoi solo continuare a perdere».

Matteo Orfini, ex presidente del Pd, aveva preferito non parlare alla vigilia del voto in Umbria per non essere facile profeta. È andata come aveva previsto? 
Il risultato è drammatico ed è inopportuno chi tenta di ridimensionarlo, specie nel mio partito: è una sconfitta molto dura di una dimensione superiore alle previsioni, dal mio punto di vista inevitabile, dopo le scelte fatte. Ora però bisogna affrontarla e trarne le conseguenze. 

Quali?
Innanzitutto evitare le forzature fatte fin qui. Si è tentato di trasformare un accordo tra forze alternative, figlio di un’emergenza, in alleanza stabile trasferita sulle elezioni regionali, che doveva diventare una strategia per il futuro. Ma è impensabile. Il governo Letta nacque con l’aiuto di Berlusconi, ma nessuno immaginò che da quel governo potesse formarsi un’alleanza tra Pd e Forza Italia perché erano due forze alternative, esattamente come lo sono Pd e M5s. 

Eppure Bettini e Franceschini pensano a Pd e 5s come al nuovo centrosinistra. 
Ma perché, cosa rende compatibili Pd e 5 stelle? Abbiamo l’idea della democrazia rappresentativa diversa, l’idea del lavoro diversa, così per la giustizia, la gestione dell`immigrazione. Su tutti i principali dossier la pensiamo diversamente. 

Bonaccini dice che con un accordo sul programma, Pd, Iv e M5s potrebbero sostenerlo in Emilia Romagna…
Io penso che sia sbagliata la ricerca di un accordo con una forza alternativa. Basta pensare a questo primo mese e mezzo di governo Conte. Le ragioni con le quali avevamo contrastato Salvini sono scomparse in nome di questa alleanza: la Ocean Viking sta in mare da 10 giorni, i decreti sicurezza non si toccano, lo ius culturae è impantanato in commissione, quota 100 diventa da difendere, e al contrario abbiamo ceduto a punti simbolici sbagliati come il taglio dei parlamentari, la difesa di quota 100 e del Rdc. Ora arriverà la giustizia. Abbiamo annullato il Pd nel nome della costruzione di un nuovo centrosinistra, ma nessuno sa più cosa è il Pd e cosa vuole fare.

È stato penalizzato più M5s che il Pd.
Segnalo che in questa competizione non c’era neanche Renzi e quindi l’emorragia di voti non è figlia della scissione.

Il governo Conte è a rischio?
Il governo è fragile. Se Conte, come speriamo, vuole provare ad andare avanti, allora serve un salto di qualità. Se questo governo avesse abrogato i decreti sicurezza, dichiarato di voler rivedere gli accordi con la Libia, lo ius culturae… sarebbe più forte. Non si vince con gli accordi contro Salvini, ma bisogna avere il coraggio di convincere gli elettori delle proprie opinioni.

E Zingaretti non lo ha fatto? Crede che debba dimettersi? 
Penso che ora ci sarà una discussione, poi o abbandoniamo l’idea che il futuro del Pd sia con i 5s, o se invece si vuole continuare nella direzione presa, ebbene, io dico concentriamoci per il voto in Calabria ed Emilia, poi però si faccia il Congresso, perché non è nel mandato di Zingaretti l’accordo con i 5s. Quindi se si vuole rilanciare l’alleanza c`è l’obbligo di chiamare tutti gli elettori a pronunciarsi. 

Anche per lei dietro la sconfitta del Pd c’è ancora Renzi? 
Oscilliamo tra la subalternità a Salvini e la subalternità a Renzi. A me dispiace che sia uscito, ma ho smesso di commentare quello che fa. Se Renzi ha una centralità è perché è fragile l’identità del Pd. Non possiamo lasciare la bandiera del riformismo a Iv. Prima litigavamo su Renzi, ora litighiamo con Renzi: non mi pare una linea proficua.

Intervista di Daniela Preziosi, Il Manifesto, sabato 26 ottobre

Matteo Orfini (Pd), mentre parliamo la nave Ocean Viking, con 104 naufraghi, non ha un porto in cui approdare. Ricominciano i rituali incivili?
Spero di no, spero che venga subito assegnato un porto, che è l’unico vero elemento di discontinuità fra questo governo e il precedente su questi temi: il fatto che vengano assegnati i porti senza psicodrammi. Si dovrebbe lavorare sull’automatismo, senza aspettare giorni, come prevedono le norme e il buon senso.

I due decreti sicurezza restano in vigore. Lei e Giuditta Pini avete depositato due proposte di legge per smontarli. 
Contro quei decreti il Pd fece una battaglia durissima. Promettemmo di abrogarli appena avremmo avuto l’occasione. Oggi non possiamo limitarci ad accogliere le pur sacrosante raccomandazioni del Colle, abbiamo il dovere di una valutazione politica. E non possiamo che smontarli. Il primo, gravissimo, produrrà effetti drammatici: il non rinnovo dei progetti Sprar metterà per strada migliaia di persone, il che è l’opposto di una maggior sicurezza nel paese. E poi, si continua a morire nel Mediterraneo: abbiamo il dovere di rimettere in mare chi può evitare i naufragi. Chiediamo anche di abolire il daspo urbano.

I 5s non hanno dimostrato ravvedimento sulle politiche migratorie. Anzi giovedì a Strasburgo hanno regalato ai sovranisti una risoluzione anti Ong.
Hanno fatto peggio: la norma ribadisce che il salvataggio va fatto secondo le norme nazionali: da noi è la conferma dei decreti. 

E allora perché spera che il M5s voti le vostre proposte? 
Io non spero nel M5s. Il M5s è questo, alcune norme dei decreti Salvini sono state peggiorate in aula da loro. Ma siamo in una coalizione, c’è un accordo, mi aspetto che anche il Pd si faccia valere. Ho letto che Zingaretti pretende lealtà. Io pretenderei l’abrogazione di quei decreti. E qualche azione di sinistra. Se no avremo un governo che fa solo le cose che vuole il M5s e non altro, perché l’unica cosa che vuole il Pd è che non si litighi. Siamo il partito del bon ton.

Il Pd si rimangerebbe i «daspo» che ha voluto Minniti?
Il decreto di Salvini non è certo come il decreto Minniti-Orlando. Ma non c’è dubbio che un’idea della sicurezza tutta tarata su politiche securitarie nasce con il governo Gentiloni. Per me la sicurezza è sicurezza sociale, è ricostruire una comunità su un’idea di civiltà. Se pensi di rendere più sicura una città trattandola come uno stadio sei già sul terreno della destra.

Insisto: il Pd si rimangerà quest’idea che risale a Minniti? 
Al decreto Minniti-Orlando. Ma non personalizzo. La responsabilità non è solo dei ministri: c’era un presidente del consiglio, Gentiloni, un segretario, un gruppo dirigente. Io ero presidente e non ero d’accordo ma mi assumo la responsabilità. Faccio autocritica anche su quello che non ho condiviso. Ma se stiamo al 18% qualcosa abbiamo sbagliato. Ci correggiamo .o ci incateniamo a difesa dell’indifendibile? 

Il 2 novembre scade il rinnovo automatico degli accordi con la Libia in tema di immigrazione. Il rischio è che anche su questo tutto resti come prima?
Mancano sette giorni. Bene intanto che se ne sia parlato, e che questo passaggio non si faccia di nascosto. Quando alcuni di noi cominciarono a dire che gli accordi andavano stracciati eravamo isolati nel Pd. Oggi il fronte si allarga. Serve un passaggio parlamentare. Il governo dica in aula cosa intende fare. Spero non voglia rinnovarli così come sono. Sarebbe una vergogna: oggi in Libia c’è una guerra, sono emersi fatti inquietanti sui rapporti fra l’Italia e i trafficanti che obbligano a un cambio di rotta.

Dica la verità: vuole mettere in difficoltà il governo?
Argomento tipico da partito del bon ton. Il governo serve a fare le cose. Oggi è debole perché manca la discontinuità che avevamo promesso. Sarebbe più forte se avessimo messo al centro dell’agenda l’abrogazione dei decreti Salvini, lo ius culturae o scelte coraggiose per le fasce deboli. Manca la nostra parte. Il Pd si limita a dire, con un’intervista di Zingaretti o un tweet di Franceschini, che non dobbiamo litigare. Il modo in cui contribuiamo è dire che non si devono fare proposte e si deve votare la fiducia. La fiducia la voteremo. Ma vorrei che la votassimo non solo sull’agenda del M5S. Che non è la nostra e non lo sarà mai. 

Allora vuole mettere in difficoltà Zingaretti?
Voglio che Zingaretti guidi il Pd facendo ciò che ha promesso. Ha detto: facciamo questo governo ma ci deve essere discontinuità. O abbiamo mandato via Salvini per tenerci le sue politiche?

La foto di Narni di ieri è la foto della futura coalizione Pd- 5S?
Sto a quello che vedo: un’alleanza elettorale in Umbria, che impegna l`Umbria e speriamo produca una vittoria. Se poi si volesse, come annunciato, trasportare l`accordo di governo in un`alleanza stabile fra Pd e 5s, c`è solo un modo per deciderlo: montare i gazebo e convocare un congresso. Perché Zingaretti è stato eletto su un`altra linea, quindi non ha questo mandato. E per avere un mandato di questa natura non bastano le scorciatoie, tipo il congresso a tesi in cui votano solo gli iscritti, lanciato da Cuperlo e da altri. Zingaretti deve candidarsi segretario alle primarie aperte, e chiedere il voto degli elettori sulla nuova linea.

Intervista di Diego Motta, Avvenire, domenica 6 ottobre

La presenza del supertrafficante libico Bija al tavolo sui migranti di Mineo rischia di gettare una luce sinistra sui rapporti tra Roma e Tripoli. «Le immagini dell’incontro avvenuto in Sicilia l’11 maggio 2017 rappresentano un salto di qualità e confermano grandi opacità nelle relazioni tra i due Paesi» osserva Matteo Orfini, il primo nel Pd a rompere sin da subito il silenzio sulla vicenda, rimanendo peraltro abbastanza isolato. «Su quella stagione va fatta una profonda autocritica, che ancora manca continua il parlamentare democratico – mentre vedo invece che il nuovo governo Conte si affretta a rilanciare e confermare un rapporto organico con Tripoli nel controllo dei flussi. Lo stesso presidente del Consiglio l’ha fatto, rivendicando il ruolo centrale della Guardia costiera libica».

In questi giorni, la stessa fotografia dell’incontro di Mineo ha portato a cinque diverse letture dei fatti da parte degli attori protagonisti. Com’è possibile? Chi non vuole ricostruire la catena delle responsabilità?

Non posso credere che un incontro del genere sia stato organizzato senza che i servizi segreti ne sapessero nulla. Le personalizzazioni non mi piacciono, si tratti di Minniti o di Gentiloni, che aveva la delega all’epoca sugli 007. Però è necessario che i protagonisti parlino, senza più reticenze. 

Ma la commissione d’inchiesta parlamentare che avete invocato sulla vicenda non rischia di essere il solito tormentone che non risolve nulla?

Intanto, è uno strumento utile per ricostruire come sono andate le cose. Poi registro che alcune voci del mio partito, il Pd, esponenti di Leu e di +Europa e lo stesso sottosegretario Sibilia per i Cinque stelle di fatto chiedono di poter capire cosa è successo. Non è poco: vogliamo capire se è stato siglato o no un patto pazzesco tra lo Stato italiano e le milizie guidate dai trafficanti di esseri umani, allo scopo di contenere i flussi migratori. Devo aggiungere un’altra cosa.

Quale?

Degli accordi con la Libia di quella stagione non abbiamo mai discusso, né in una riunione del Pd e nemmeno in Parlamento. L’Aula non ha mai ratificato niente su questo tema. In questi anni ci siamo chiesti quanti profughi arrivano in Italia e non da dove scappano e perché. Se ci mettiamo poi i casi inquietanti documentati dei respingimenti in mare e il ruolo opaco dei servizi italiani, mi pare che alla domanda sulle responsabilità diventi necessario dare una risposta in tempi brevi.

Lei che risposte si è dato nel frattempo?

Se i migranti non arrivano è perché o muoiono in mare o vengono rinchiusi nei centri di detenzione. Che fine fanno, altrimenti? Penso si tratti di interrogativi che un grande partito di sinistra come il Pd deve porsi. Invece, vedo da tempo soltanto subaltenità culturale a Salvini: si ha paura di avere un pensiero radicalmente alternativo alla destra. Con un solo risultato, alla fine: che se la sinistra copia la destra, i cittadini poi scelgono l’originale. 

Cosa è necessario fare subito, perché ci sia dunque discontinuità nelle politiche sui migranti? 

Bisogna stracciare gli accordi con Tripoli, ricostruire un rapporto equilibrato con le Ong che sono state criminalizzate, revocare integralmente i decreti sicurezza. 

Darà atto almeno al nuovo ministro Lamorgese che qualcosa si sta facendo, come hanno dimostrato gli accordi di Malta… 

Sono piccolissimi passi in avanti. Intendiamoci: è molto positivo che finalmente il ministro degli Interni vada ai vertici internazionali e che l’Italia abbia il ruolo che le spetta. Con Salvini non era così. Ma l’inversione di tendenza ancora non c`è. Ripeto: è un compito innanzitutto del Pd. Soltanto sei anni fa eravamo noi a lanciare la meritoria operazione Mare Nostrum per salvare vite nel Mediterraneo, eravamo noi a rivendicare il diritto di dare degna sepoltura ai morti del mare. Che fine hanno fatto adesso quelle battaglie? 

Intervista di David Allegranti, Il Foglio, mercoledì 25 settembre 2019

Serve un congresso vero, spiega Matteo Orfini al Foglio, per dare vita a un Pd “all’americana”. Non una “casa comune”, per dirla con Dario Franceschini, insieme ai Cinque stelle. “Credo che la scissione sia una cosa seria, sbagliata ma seria, e avrà degli effetti sul Pd. Si è creato un soggetto simile al nostro, che pesca nello stesso bacino. Ci saranno anni di competizione molto forte, che può distruggere il Pd ma anche chi ha fatto la scissione. Questo passaggio non va sottovalutato”. Dunque, sottolinea Orfini, dobbiamo discutere su come “si rifonda un progetto, su quale sia il percorso di riorganizzazione del centrosinistra come sistema e su come ripensare il Pd. Serve una discussione che abbia la caratura congressuale: serve un congresso vero, con le primarie e le regole che già ci siamo dati”. Non immediatamente, puntualizza l’ex presidente del Pd.

“C’è un’emergenza, dobbiamo prima provare a vincere le elezioni regionali, che sono il prossimo ultimo vero passaggio elettorale, perché per qualche anno poi non ci saranno altri appuntamenti di rilevanza nazionale. Ma prima o poi questo momento dovrà arrivare”. Perché “se si vuole cambiare la natura del Pd, non lo si può fare con le scorciatoie. Tutti abbiamo condiviso l’esigenza di far partire questo governo, a fronte di un’emergenza democratica – Salvini che chiede pieni poteri – ma un conto è proporre un’alleanza per rispondere a questa emergenza, un altro conto è immaginare di trasformare con un paio di interviste questa alleanza nel nuovo progetto politico del Pd”. Franceschini teorizza già una “casa comune” fra Pd e Cinque stelle e, dice Orfini, “questo mi preoccupa, anche perché tutto si può fare nella vita ma serve un po’ di politica. Serve un progetto. E io non posso immaginare di costruire una alleanza strutturale che sarebbe fondata solo sull’idea di non perdere. Il Pd non può diventare un partito che ha come unico obiettivo la gestione del potere a prescindere dalla politica”.

Prendiamo il caso delle alleanze nelle (ex) regioni rosse. Come l’Umbria. “Vogliamo allearci con i Cinque stelle nelle regioni rosse – laddove dopo decenni rischiamo di perdere – per ragioni che non vogliamo affrontare o discutere. Solo per non perdere, appunto. Per carità, è un argomento pure questo, e io lo capisco, però non possiamo immaginare di sommare due debolezze e costruire una forza. L’unico che finora ha abbozzato un ragionamento politico, che pure non condivido, è stato Goffredo Bettini sul Foglio. Dà una lettura molto diversa da quella che do io del M5s, però diciamo che almeno negli obiettivi ne indica uno condivisibile. Dobbiamo ricostruire il senso di comunità nel paese, depurandolo dalle scorie dell’odio e della rabbia, cercando di ricreare quella che una volta si chiamava civitas.

Tuttavia, e qui sta il punto di dissenso, non posso non vedere, a differenza di Bettini, come questa disgregazione del tessuto connettivo non sia stata generata solo da Salvini ma anche dal M5s. Anzi, le dirò di più: il M5s è stato l’incubatore del virus che poi è esploso con Salvini. Quindi io faccio fatica a considerare il M5s la cura del virus che ha incubato, anche perché non vedo segni di ravvedimento da parte loro. Su tanti aspetti storici e fondativi del M5s, e negativi per il paese, non c’è stato un ravvedimento operoso. A partire dalla democrazia rappresentativa”. Certo, dice Orfini, “un cambio c’è stato e non va sottovalutato sulla scelta europeista, e questo lo riconosco. Ma mi pare presto per abbozzare un’idea di questo tipo: rifondiamo un nuovo centrosinistra a trazione grillina. Anche perché il campo progressista arriverebbe separato e diviso, quindi ancor più debole. Io ho grande rispetto per la capacità salvifica e rigenerativa di un’intervista di Franceschini, ma penso non basti a produrre una palingenesi nei Cinque stelle e a trasformarli da populisti a riformisti”.

Anche perché i “Dl Fraccaro sulla riforma costituzionale sono ancora lì, in Parlamento. Così come l’idea di smantellare la democrazia rappresentativa e la democrazia dei partiti è sempre presente nel M5s. La politica è anche evoluzione quindi non escludo che ci possa essere una evoluzione dei Cinque stelle tale da mutarne la natura, ma a oggi non la vedo”. Il Pd insomma, deve darsi un tempo utile per “ricomporre le divisioni. Tre anni, il tempo della fine della legislatura, visto che tutti speriamo che le elezioni politiche si tengano a scadenza naturale. E io voglio pure stare nel ragionamento di Bettini, secondo cui c’è un popolo che è già unito e invece nelle istituzioni è diviso dagli egoismi dei gruppi dirigenti e dalla rigidità dei contenitori e dei vincoli partitici che abbiamo oggi”.

Tema non nuovo, dice Orfini. “Già un anno fa proposi di sciogliere e rifondare il Pd, tutti quelli che dicevano che era una follia, a cominciare da Nicola Zingaretti, oggi parlano di rifondare il Pd. Ma questo significa che o noi plasmiamo di nuovo un soggetto progressista su quel popolo o non ne usciamo. Un anno e mezzo di Salvini al governo ha aiutato la nostra gente a superare le divisioni di questi anni, nelle mille realtà civiche, sociali, sindacali, di partito e non, che ci sono in Italia. Il popolo progressista ha protestato e manifestato insieme”. Quindi, dice Orfini, perché non pensare a “un unico soggetto politico che rappresenti tutti, come c’è già in tante parti del mondo. Negli Stati Uniti, dove il Pd americano contiene componenti più diverse di quanto non lo siano Fratoianni e Renzi. Certo, hanno meccanismi meno rigidi dei nostri partiti per stare insieme, si contano e poi fanno la sintesi nelle istituzioni”.

Dunque, “diamoci tre anni e un obiettivo: un contenitore unico dei progressisti. Senza il M5s naturalmente. Facciamolo gradualmente, ma il modello è il Partito democratico americano, un cartello elettorale in cui ognuno sta dentro il partito con la sua struttura, la sua associazione, la sua realtà civica, in modo da consentire a un popolo di riconoscersi in un soggetto unico e di mantenere e valorizzare le proprie differenze in positivo. Lo vedo più in linea con il progetto del Pd. Invece mi chiedo come facciano Veltroni e Prodi a stare in un nuovo pentapartito a guida grillina. Penso che neanche Zingaretti voglia starci”.

Insomma, il nuovo Partito democratico all’americana dovrebbe riunire tutti quelli che Orfini chiama progressisti. “Da Fratoianni, che sui temi dell’immigrazione ha idee molto più simili alle mie di quante io ne abbia in comune con Minniti, alla parte liberal. Poi troviamo il modo di fare vivere queste componenti in maniera plurale, dandoci strutture meno ossificate e meno rigide rispetto a come funziona il mondo oggi. Anche perché, peraltro, abbiamo strutture decisionali rigide – direzione, assemblea, gruppi parlamentari – ma poi nei momenti decisivi discutiamo meno del M5s. Loro discutono e poi votano, come nel caso dell’Umbria, noi non ne abbiamo neanche parlato”. Quindi il Pd dovrebbe sciogliersi? “Il Pd è il soggetto politico che dovrebbe proporre questa strada mettendosi a disposizione. Questo non vuole dire sciogliersi ma lanciare una sfida politica agli altri. Che poi è quello che abbiamo sempre detto di fare”.

Altro tema è la legge elettorale. “Sposiamo il proporzionale per mantenere la vocazione maggioritaria. Il proporzionale non genera frammentazione, il maggioritario a turno unico sì. Dà solo vantaggi a costruire micropartitini che con lo 0,5 per cento diventano decisivi nei collegi. Non a caso il Pd e la Lega hanno vinto con il proporzionale puro. Alle Europee nel 2014 il Pd ha preso il 40,8, la Lega quest’anno il 34. Il proporzionale puro aiuta la costruzione di un’offerta politica e se dobbiamo fare la riduzione del numero di parlamentari modera anche gli effetti distorsivi sulla rappresentanza di quella riduzione”. Una riduzione voluta dai Cinque stelle, peraltro. “Il rischio non è di costituzionalizzare il M5s ma di grillizzarci noi. E ne vedo già i primi segni”.

Quali? “Accettiamo la riduzione dei parlamentari senza alcuna forma e garanzia di contrappesi sulla legge elettorale. Oppure prendiamo le politiche dell’immigrazione. Io sono contentissimo del micro passo in avanti che è stato fatto a Malta. Laddove dimostri che se vai ai vertici internazionali, anziché boicottarli come faceva Salvini, qualcosa ottieni. Dopodiché, se leggo le interviste di Conte che parla di fruttuosa collaborazione con la guardia costiera libica e dice che i decreti sicurezza, al netto delle osservazioni di Mattarella, vanno benissimo e noi non diciamo niente, beh, allora significa che abbiamo sposato una lettura che è quella di Salvini. Significa che abbiamo paura a combattere una battaglia perché non ci conviene”. Insomma “attenzione a non grillizzarci. Sono anni che vogliamo costituzionalizzare chiunque e poi ci scopriamo subalterni a quelli che volevamo costituzionalizzare”.

Intervista di Francesca Schianchi, La Stampa, lunedì 2 settembre

Da giorni chiedo al presunto statista Conte di mostrare discontinuità sul tema migranti, ora per disperazione mi trovo obbligato a rivolgermi al segretario Pd Zingaretti e ai capigruppo, Marcucci e Delrio, che stanno trattando sul governo», chiama in causa i compagni di partito l’ex presidente dem Matteo Orfini sulla vicenda Mare Jonio, più di trenta persone bloccate su una nave dal divieto di sbarco deciso da Salvini.

Cosa dovrebbero fare Zingaretti, Delrio e Marcucci?

«Al M5S abbiamo chiesto discontinuità, nei nomi e nei contenuti: sui nomi l’ipotesi è già tramontata, almeno sui contenuti dovremmo pretenderla».

Il suo segretario ha chiesto lo sbarco pubblicamente.

«Non è questione di un tweet. Se stiamo facendo questa trattativa per superare le politiche oscene di Salvini, io avrei detto: prima di tutto, fateli sbarcare. Poi si tratta. Invece stiamo qui a parlare del numero dei vicepremier: Franceschini fa un tweet, Orlando lo ritwitta, Gentiloni ritwitta Orlando che ritwitta Franceschini. Per il mio partito conta più il numero di chi va al governo del numero di esseri umani sequestrati. Sarà che a me interessa assai poco perché non ci entrerei mai».

Non sarà che ne parla così perché il suo nome non è girato nel totoministri?

«Ho letto che il mio nome è entrato in una “black list” del M5S. E ne sono orgoglioso».

Sul tema immigrazione quali paletti dovreste mettere?

«Si smetta di fare la guerra alle Ong. Si metta mano agli accordi con la Libia. Si faccia una legge quadro sull’immigrazione che superi la Bossi-Fini. E magari, si faccia lo ius soli».

Si possono adottare queste politiche con il M5S?

«È bene capirlo subito. Se nemmeno su questo siamo in grado di ottenere una radicale discontinuità, che ci andiamo a fare al governo?».

Se non ottenete disponibilità su questo tema meglio far saltare la trattativa?

«Non penso che dobbiamo andare al governo a tutti i costi».

Zingaretti è troppo timido?

«Registro che non abbiamo posto lo sbarco dei profughi della Mare Jonio come conditio sine qua non».

Lei definisce Conte «presunto statista». Quanto le costa l’idea di votargli la fiducia?

«Dipende da quello che fa il governo: tra il governo e il voto abbiamo scelto il male minore, ma sempre male è. E un conto è accettare Conte, un altro considerarlo uno statista, dopo 15 mesi in cui ha avallato tutte le scelte peggiori».

Il Pd può arrivare ad accettare Di Maio vicepremier?

«La discussione sui nomi non mi appassiona: un ministro in più non rende accettabili scelte sbagliate. Certo, credo sarebbe più semplice se ci fosse un tasso di innovazione forte, magari totale. Vale per noi e per loro».

Calenda parla di «umilianti genuflessioni a Grillo» dal Pd. E d’accordo?

«Non ho visto il video di Grillo e fatico a considerarlo un interlocutore politico».

Non sia snob.

«Io? Ho letto che ultimamente parla con Dio: io non sono a quell’altezza».