Intervista a F. Schianchi su La Stampa, 22 febbraio 2017

«Ora ci sono priorità che il governo deve portare avanti». Avviato l’iter congressuale con la Direzione di ieri, incassata con sollievo la decisione di Emiliano di restare nel Pd, Matteo Orfini, presidente del partito e da domenica, con le dimissioni di Renzi, anche reggente, guarda avanti e fissa un’agenda di governo per i prossimi mesi: stop alle privatizzazioni, legge per «correggere» i voucher e ius soli, da approvare anche con la fiducia. E poi, l’istituzione di una commissione d’inchiesta sulle banche.

Presidente Orfini, andiamo con ordine: soddisfatto della scelta di Emiliano?

«Certo, credo che abbiamo fatto un lavoro positivo. E spero non sia finita qui: mi auguro ancora di riportare sui propri passi anche Rossi e Speranza».

Pensa sia ancora possibile?

«Siamo in uno stato abbastanza avanzato, ma finché non c’ è stato un annuncio ufficiale è mio dovere tentare: considero la non partecipazione al congresso come qualcosa di diverso da un abbandono».

Non sarebbe stato meglio se al lavoro per scongiurare l’uscita di Rossi e Speranza ci fosse stato anche Renzi ieri, volato invece in America?

«No, Renzi ha fatto un gesto rispettoso. Il segretario si è dimesso e ricandidato: non può essere lui a fare la mediazione. Lasciarlo fare alla Direzione e agli organismi del partito è il modo migliore per garantire che nulla venga strumentalizzato: chi ha paura del partito di Renzi non può evocarlo quando lui si dimette».

Se la scissione dei bersaniani sarà confermata, il governo sarà più debole?

«Registro un fatto oggettivo: si pensa di uscire dal Pd per fare un’altra cosa con pezzi di sinistra che oggi sono all’opposizione del governo. Chi attende fuori dal Pd chiederà, come ha già fatto Nicola Fratoianni neo segretario di Si, che il discrimine sia il governo Gentiloni. Mi pare ovvio che una scissione rischierebbe di produrre un sostegno al governo più fragile».

Lei pensa ancora al voto a giugno?

«La mia posizione la espressi pubblicamente a suo tempo. Oggi è stata fatta una scelta diversa e non posso che tenerne conto».

Ma cosa vi costava garantire il sostegno a Gentiloni fino al 2018?

«Lo stiamo sostenendo quotidianamente. Abbiamo detto più volte che il nostro obiettivo è fare quello che serve al Paese, poi la data delle elezioni è nelle mani del presidente della Repubblica e del Parlamento. Ma mentre parte il congresso, non possiamo immaginare che il Pd si occupi unicamente di partito lasciando solo il governo».

Cosa intende dire?

«Il Pd si deve spendere in prima persona su alcune cose che dobbiamo fare».

Quali? 

«Prima di tutto, dobbiamo fare una discussione seria sull’economia. Purtroppo siamo tutti più vecchi e gli anni ’90 sono finiti: riproporre oggi come soluzione a un debito pubblico di oltre 2000 miliardi le privatizzazioni è sbagliato. Abbiamo piuttosto bisogno di rilanciare la funzione delle grandi imprese pubbliche e di capire come usare meglio in questo senso anche Cassa depositi e prestiti. Su questo dobbiamo discutere prima di procedere».

Secondo impegno?

«È una preoccupazione giusta quella del ministro Poletti di rimettere mano alle norme oggetto dei referendum della Cgil. Così come, visto che rivendichiamo di aver restituito un Paese con più diritti, dobbiamo fare un passo avanti in quel campo».

A cosa pensa? 

«Lo ius soli è incomprensibilmente bloccato al Senato: un governo forte e autorevole come il nostro, di fronte a italiani lasciati senza diritti, può pensare ad aiutare l’approvazione con la fiducia».

Finite le priorità? 

«Poi ci sono le cose che spettano al Parlamento: dobbiamo mantenere l’impegno a insediare una commissione d’inchiesta sulle banche».

Insomma Orfini, parla veramente come un segretario.

«Ho perfettamente chiari i limiti del mio ruolo, so che siamo in una fase di transizione, ma credo che il partito non possa restare senza un punto di vista. Dobbiamo passare dalla convegnistica ai fatti e dalle mozioni alle leggi».

Dica la verità, sono i paletti che mette al governo per avere garantito il sostegno del Pd?

«Sono provvedimenti che renderanno ancora più forte il nostro governo».

Intervista a Tommaso Ciriaco, la Repubblica, 15 febbraio

 

La sinistra interna si metta l’anima in pace, il congresso del Pd si terrà «prima delle amministrative». Il presidente del partito Matteo Orfini chiude al rinvio dell’assise. E non cambia idea sulla necessità di tornare al voto: «Io continuo a pensare che si debba arrivare ad elezioni il prima possibile, dopo aver varato una riforma elettorale». Quanto all’ipotesi di una corsa di Andrea Orlando – con lui a capo della corrente dei Giovani Turchi la stroncatura di Orfini è totale: «Sarebbe incomprensibile se diventasse il candidato di Bersani e D’Alema».

Bersani sembra con un piede fuori dalla porta, Orfini. Siamo alla scissione del Pd?

«Penso che la scissione vada bandita dal nostro vocabolario. Non va evocata, né agitata. Tutti amiamo il Pd. Magari non siamo d’accordo sulle ricette, ma senza questo partito il Paese è più debole».

Ma voi siete disposti ad andare incontro alle loro richieste per evitare una frattura? Ad esempio, potreste decelerare sul congresso?

«In questi mesi ho provato a svolgere la funzione di presidente del Pd tenendo conto più delle richieste che venivano dalla minoranza che dalla maggioranza. A dicembre ho lavorato per evitare il congresso, come chiedeva la sinistra. Dopo hanno reclamato un momento di contendibilità, in caso di elezioni anticipate, ed ho proposto la strada delle primarie. Poi non andavano più bene neanche quelle, perché senza il congresso minacciavano la scissione: perfetto. E adesso è il congresso, prima richiesto, che porterebbe alla scissione. Tutto questo dimostra solo che abbiamo un gran bisogno di discutere».

Quindi nessuno slittamento dell’assise in autunno?

«Se non sciogliamo subito alcuni nodi, rischiamo la paralisi nostra e del Paese. Il congresso serve a discutere non solo tra noi dirigenti, ma a farlo insieme al nostro popolo, che non vuole scissioni e che saprà indicarci il modo per continuare a stare insieme. Non saranno certo le regole il problema, dato che abbiamo proposto di utilizzare quelle scritte da Epifani quando era segretario, nel 2013. Così riusciremo anche ad avere una guida già operativa per le amministrative di primavera».

Congresso entro primavera, dunque. Parliamo di Orlando: possiamo definirlo un suo ex compagno di corrente?

«Andrea è prima di tutto un amico. Lo sento continuamente. Abbiamo avuto anche in passato valutazioni differenti, come sta succedendo in questa fase. E comunque la nostra area è fatta da persone autonome che stanno insieme liberamente, non in modo militare. Non a caso siamo gli unici a chiamare la componente senza il nome di un leader. Rivendichiamo questo approccio».

Lui propone una conferenza programmatica prima del congresso. Anche su questo siete distanti?

«Facendo una conferenza per arrivare a una piattaforma omogenea del Pd andremmo incontro proprio al pericolo che Orlando vorrebbe evitare: le primarie, infatti, diventerebbero soltanto una fiera delle vanità. Come lo scegliamo a quel punto il leader, in base a chi viene meglio in tv? A chi è più bello, oppure a chi è più simpatico? Servono invece opzioni programmatiche distinte sulle quali far decidere i nostri elettori».

Ma se alla fine Orlando dovesse candidarsi al congresso, lei lo sosterrebbe?

«Negli ultimi tre anni io e Andrea abbiamo lavorato per unire il Pd, pur non avendo votato Renzi al congresso. Andrea è stato uno dei più importanti ministri del governo Renzi. Per queste scelte siamo stati contestati anche duramente dalla minoranza di Bersani e D’Alema. Siamo sempre stati su fronti interni opposti. Faccio fatica a immaginare che Andrea possa diventare il loro candidato. Sarebbe inconcepibile per la sua storia».

A proposito di congresso: con la sua convocazione, le elezioni a giugno sono definitivamente archiviate? Oppure proprio le tensioni che ne deriveranno metteranno a repentaglio la tenuta del governo Gentiloni?

«Il governo Gentiloni, come quello Renzi, rischia di indebolirsi proprio a causa delle fibrillazioni da “congresso permanente” del Pd. Se sciogliamo i nodi, invece, il governo sarà più forte. E poi non c’è nesso tra il congresso e la durata dell’esecutivo».

Scusi, ma lei non era in prima fila per il voto a giugno? Ha cambiato idea?

«Non ho cambiato opinione, penso che sia meglio farlo nel più breve tempo possibile. Soltanto che per votare dobbiamo dare risposte a quanto chiesto da Mattarella, rendendo omogenee le leggi elettorali. Vediamo quanto tempo ci vorrà. Nel frattempo aiutiamo il governo a fare le cose giuste, a partire dal rapporto con l’Europa. Che può chiederci serietà, non manovre aggiuntive».

Ma scusi, con un congresso in corso immaginare una riforma elettorale non è irrealistico?

«Il Paese non aspetta i nostri tempi, possiamo onorare l’impegno anche durante la celebrazione del congresso».

Sarà lei – assieme ai vicesegretari – a reggere come da statuto il partito? Oppure immagina nomi alternativi?

«Applicheremo quanto è previsto dallo statuto e dalle regole».

Intervista a Francesca Schianchi, La Stampa, 4 febbraio

 
 

Sono radicalmente in dissenso con la proposta di Franceschini di premio di maggioranza alla coalizione».

Perché, presidente Orfini?

«La storia dovrebbe essere maestra: già conosciamo i guasti di quel sistema, che obbliga i partiti a mettere insieme quello che non sta insieme. Tornare a quello scenario mi pare incomprensibile. Anche per un’altra ragione». Continua a leggere

Intervista a Monica Guerzoni, Corriere della Sera, 2 gennaio 2017

 

Votare è «urgente» e il mese limite per tornare alle urne è giugno. E se la trattativa sulla legge elettorale dovesse naufragare, Matteo Orflni pensa si possa votare già in primavera, senza drammatizzare le scadenze dei Trattati a marzo e del G7 a maggio: «La democrazia non è un problema». Continua a leggere

Intervista a Maria Zegarelli su l’Unità del 28 dicembre 2016

 

Aprire subito un tavolo di confronto al Nazareno con tutte le forze politiche per capire chi vuole cambiare la legge elettorale e chi punta a tirare a campare fino a fine legislatura. Il presidente del Pd, Matteo Orfini, lancia la proposta, «ognuno si assuma la propria parte di responsabilità». Altrimenti, si va al voto. Subito. Continua a leggere

Intervista a Carlo Bertini su La Stampa, 27 dicembre 2016

 
 

«Se devo esprimere la mia opinione, giugno è la data limite per il voto oltre la quale non si deve andare»: parola del presidente del Pd Matteo Orfini, che non avvalora la vulgata secondo cui le correnti interne del partito frenano la corsa verso le elezioni imposta da Renzi. «O c’è la volontà di fare una nuova legge elettorale, o ci saranno due leggi consegnate dalla Consulta per Camera e Senato con cui andare a votare. Nessuno capirebbe un accanimento terapeutico intorno a questa legislatura». Continua a leggere

Intervista a Carmelo Lopapa, la Repubblica, 23 ottobre 2016

 
 

«Trovo sconcertante che mentre ci sia chi sta lavorando per ricostruire l’unità del Partito democratico, per sanare e superare le divisioni, ci siano altri che lavorano in direzione opposta. Svegliarsi al mattino e leggere un’intervista come quella di Pier Luigi Bersani su Repubblica rende tutto più complicato».

Pensa che a questo punto ricomporre con la minoranza interna sia impossibile, Matteo Orfini, presidente Pd? Siamo a un passo dalla scissione?

«Spero non ci sia, lavoro perché non ci sia. La nostra gente ci chiede altro, invoca unità. Abbiamo avuto una prima riunione della commissione per la riforma dell’Italicum ed è andata bene».

Dice? Non sembra che le premesse siano delle migliori.

«Tutti coloro che hanno partecipato, a cominciare da Gianni Cuperlo che ringrazio, stanno lavorando per trovare un punto d’intesa. Io penso che ci siano ancora le condizioni per una ricomposizione. C’è già un accordo sul metodo e sulla necessità di fare presto. Se poi all’esterno altri remano contro…»

Ecco, si riferisce a Bersani e ai suoi che guardano già al dopo 4 dicembre e chiedono cambio delle regole e accelerazione sui tempi del congresso?

«Considerazioni da incendiario, mentre siamo impegnati in una discussione sulla “bibbia” della democrazia che è la Costituzione. Stiamo facendo di tutto per discutere del merito e qui c’è chi gioca al congresso anticipato caricando le nostre divisioni sulla campagna referendaria e sul Paese».

L’ex segretario avanza una proposta concreta: anticipare i tempi del congresso e soprattutto affidare la scelta del prossimo segretario ai soli iscritti. Addio primarie?

«Abbiamo detto mesi fa che dopo il referendum si sarebbe anticipato il percorso congressuale, c’è tutto il tempo per organizzarlo. Adesso abbiamo il dovere di concentrarci sul referendum».

E le primarie?

«Non sono d’accordo con lui. Se il segretario del partito è candidato premier, e così deve essere, è logico che la fonte di legittimazione debba essere la più ampia possibile. Le primarie sono necessarie, senza, non sarebbe più il Pd. Cosa diversa è ragionare sulle modifiche dello Statuto. Ma segnalo a Bersani che è il lavoro che abbiamo fatto e concluso in un anno nella commissione da me presieduta. Dopo un confronto nei circoli le modifiche statutarie saranno approvate in una grande assemblea nazionale. In quattro anni di segreteria Bersani su tutto questo si preferì soprassedere».

Vi accusa anche di non aver fatto nulla a Roma dopo la sconfitta. “Non si è dimesso nessuno”. Lei, commissario del partito?

«A Roma abbiamo perso perché c’era un Pd stravolto dalle vicende e dalle infiltrazioni di “mafia capitale”, c’era un’amministrazione inadeguata: questa la ragione per la quale il partito è stato commissariato. La degenerazione del partito romano era iniziata tempo fa, quando Bersani era segretario, qualcuno gliela segnalò ma preferì non intervenire. Ritengo le parole di Pier Luigi un’apprezzabile autocritica, seppure tardiva».

Il Sì al referendum è dato in ripresa ma ancora sotto. Il margine è recuperabile?

«La dinamica è molto positiva. Più si entra nel merito e più emerge che le ragioni del No sono inesistenti. Sabato ci attende una grande manifestazione, dopo tanto tempo si torna in piazza a Roma e lo facciamo a testa alta, con grande orgoglio, speriamo ci siano tutti su quel palco».

La sinistra Pd no. D’Alema sostiene che dalla vostra parte ci sono per lo più anziani.

«Trovo davvero offensivo dire che gli anziani votino Sì perché non capiscono la riforma, come ha fatto lui. Un perfetto autogol, se a dirlo non è esattamente un ventenne».

Intervista a Maria Zegarelli, l’Unità, 7 ottobre 2016

Orfinum, anzi Italikos – trasposizione greca dell’Italicum – per cercare di uscire dalle secche di una discussione che vede ogni parte in causa arroccata sulle sue posizioni e tutte in attesa di capire come andrà a finire il referendum costituzionale. I Giovani turchi la loro proposta l’hanno avanzata: non un’altra legge elettorale ma un’Italicum modificato. E sono convinti che possa trovare convergenze in Parlamento. Troppo ottimisti? Secondo il presidente del Pd, Matteo Orfini, no. Continua a leggere