Nicola Fratoianni e Matteo Orfini, il manifesto, 8 ottobre 2020

Finalmente il governo è intervenuto sui Decreti Sicurezza di Salvini. Al netto delle cose che ancora non ci piacciono, consideriamo questo primo passo un risultato importante, frutto della lotta dei molti che non si sono arresi e che, anche controcorrente, hanno continuato a battersi per un Paese più giusto e umano.

Come abbiamo detto molte volte, le politiche migratorie nel nostro Paese soffrono da anni una impostazione sbagliata, tutta concentrata sulla gestione di un’emergenza che non può più essere seriamente definita tale. Sia perché l’invasione più volte denunciata dalle destre non esiste nei numeri, sia perché l’immigrazione è e sarà un fenomeno e globale di natura strutturale. Da questo punto di vista, c’è il doppio effetto tra la Bossi Fini e i decreti di Salvini. Tanto la Bossi Fini che di fatto ha cancellato ogni strumento di ingresso “legale” nel paese quanto i pessimi decreti sicurezza hanno prodotto un peggioramento significativo nel sistema di accoglienza e di protezione, alimentando l’irrazionalità di un sistema nel quale hanno prospettato corruzione, discrezionalità nelle scelte, e procedure d’eccezione.

A pagarne le conseguenze sono state decine di migliaia di persone migranti, ma anche di cittadine e cittadini italiani sulle cui comunità si sono scaricati gli effetti di questa gestione disastrosa.

Quanto al capitolo della ricerca e del soccorso in mare, i decreti Salvini sono intervenuti in modo assai peggiorativo in un contesto segnato negativamente dalle scelte degli ultimi governi. L’attacco alle Ong, combinato con l’abdicazione da parte dell’Italia e dell’Europa rispetto ai propri doveri di ricerca e soccorso, si è così dispiegato in pieno. Nello stesso tempo, l’implementazione della collaborazione con la Libia, e con la sua cosiddetta Guardia Costiera, ha fatto il resto.

È in questo quadro dunque, e nella più generale valutazione dei rapporti di forza, che va letto il risultato ottenuto nell’ultimo consiglio dei ministri. Andiamo dunque per ordine:

1) Viene ripristinata la protezione umanitaria (anche se non si chiamerà così) nella stessa estensione del previgente articolo 5 comma 6 del TU, ovvero nel rispetto degli obblighi internazionali e costituzionali. Una vera terza forma di protezione riconosciuta come status di diritto soggettivo, non una concessione (come nella impostazione salviniana).

2) Non solo: la protezione speciale viene riconosciuta a chi ha un buon livello di integrazione sociale in Italia e la violazione del diritto alla vita privata e famigliare viene addirittura inserita nelle clausole di inespellibilità. Un avanzamento che non c’era mai stato.

3) Sulle operazioni di soccorso in mare, è ben vero che la formulazione trovata è frutto di compromessi ma non ci potrà essere nessuna interdizione all’ingresso e al transito nelle acque territoriali delle operazioni di soccorso in mare “comunicate” (non autorizzate) dall’organo di coordinamento dei soccorsi, il quale dovrà agire nel rispetto del diritto internazionale del mare e dello statuto dei rifugiati. Viene drasticamente ridimensionato l’ambito discrezionale della politica in questo campo (no a porti chiusi o aperti a piacimento del politico di turno).

4) La convertibilità dei permessi di soggiorno per protezione speciale, come per calamità o assistenza al minore, permette alle persone che si trovano in condizioni di soggiorno particolari di poter confluire nel più ampio canale delle migrazioni ordinarie. È la stessa logica del punto 2 ovvero si riconoscono e valorizzano i “percorsi di vita” delle persone”.

5) Si chiude la pagina della concentrazione dei richiedenti asilo nelle caserme e simili e ritorna lo Sprar (oggi Sai) come unico sistema di accoglienza diffusa per richiedenti e rifugiati. Qui va detto che il testo è un po’ carente perché ripristina una situazione ex-ante (ottobre 2018), ma non si sa come concretamente si assorbiranno i Cas (Centri di Accoglienza Straordinari). Su questo punto è evidente il carattere incompleto della riforma che va considerata come un primo passo da sviluppare.

6) Sulla riduzione dei tempi di trattenimento nel Cpr c’è un passo avanti ma purtroppo l’impianto radicalmente sbagliato della normativa sulla detenzione amministrativa (sia i presupposti che le modalità del trattenimento e i diritti dei trattenuti) non viene in alcun modo modificato. Si tratta di una questione su cui occorre continuare a battersi.

7) Ugualmente rimangono in piedi “procedure di frontiera” e procedure accelerate con scarse garanzie e rischio di loro indebita ed estesa applicazione. Su questo campo bisognerà mettere ancora mano a una riforma effettiva.

Come si vede, le modifiche sono andate decisamente oltre le pur sacrosante indicazioni del Quirinale. Nello stesso tempo, è chiaro che restano aperte molte questioni, a cominciare dal superamento della Bossi Fini e dallo Jus Soli. Noi, continueremo a batterci in questa direzione.

Intervista di Simona Musco, Il Dubbio, 7 ottobre 2020

Il Pd deve far emergere la propria agenda e c’è ancora molto da fare. Ma la modifica ai Decreti Salvini è un primo passo verso un Paese più civile». Matteo Orfini, deputato dem, commenta così il colpo di spugna del governo su quanto rimane del passaggio di Matteo Salvini a Palazzo Chigi. Una scelta obbligata, per il deputato, ma solo la prima lungo il cammino della legislatura: «Ora smettiamo di criminalizzare le ong».

Dopo un anno la promessa è stata mantenuta: i Decreti Sicurezza sono cambiati. Ma basta?
Credo sia un buon inizio e che come tale vada considerato. E molto buona la parte su accoglienza e integrazione, perché si ripristina una meccanismo di protezione più ampio, in qualche modo ridando vita al sistema degli Sprar e favorendo un’integrazione vera.

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Intervista di Giansandro Merli, il manifesto, 29 settembre 2020

Tra le poche voci dissidenti rispetto alle politiche migratorie del Partito democratico c`è quella del deputato Matteo Orfini. «Chi salva vite umane va aiutato», afferma dopo l’ennesima strage in mare.

Alarm Phone ha denunciato che tra il 14 e il 25 settembre 190 persone sono morte in sei naufragi davanti alla Libia. Di chi sono le responsabilità?
Questi dati drammatici interrogano soprattutto la nostra responsabilità. Purtroppo non è una novità. Da quando lo Stato si è ritratto dal dovere di salvare vite in mare e non ci sono più missioni istituzionali questo compito è stato svolto dalla flotta civile delle Ong, che tra mille difficoltà e vari boicottaggi ha salvato la faccia all’Europa. Ancora oggi invece di aiutare quelle navi, le si blocca con provvedimenti di dubbia legittimità. Il risultato è che non c’è più nessuno che salva vite in mare e quindi le persone muoiono o nella «migliore», tra mille virgolette, delle ipotesi sono riportate nei lager libici.

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Intervista di Concetto Vecchio, la Repubblica, 8 settembre 2020

Matteo Orfini, perché lei e suoi compagni di corrente avete disertato il voto sul referendum?
«Era già tutto deciso per il Sì. In genere si discute prima negli organismi e poi si vota. Qui è accaduto il contrario. Io il 20 settembre voterò No».

Era meglio dare libertà di voto?
«Ma quella gli elettori ce l’hanno già. Il Sì al taglio dei parlamentari implicava una nuova legge elettorale e altre riforme. Non le abbiamo viste».

I militanti del Pd come voteranno?
«Penso in maggioranza per il No. È una battaglia a difesa della dignità della politica e delle istituzioni».

Ridurre i parlamentari non era anche una vostra proposta?
«Lo era nell’ambito del superamento del bicameralismo, nel quadro di una riforma del Paese».

Zingaretti dice che questo voto è il primo passo in quella direzione.
«Sì, ma ciò non avverrà in questa legislatura. Dario Franceschini, con la sua consueta chiarezza, ha spiegato che il Sì è un’ulteriore stabilizzazione del quadro politico. Ma non si può sacrificare la Costituzione a un accordo di governo».

Teme un rovescio alle regionali?
«No, sono combattivo. Ha ragione Zingaretti: dobbiamo lottare. È un voto importante».

Conte dice che il governo non cadrà in caso di sconfitta.
«Lo penso anch’io».

Le mancate alleanze con il M5s quanto incideranno?
«L’alleanza non produce di per sé vittoria. In Umbria eravamo alleati e abbiamo perso. In Emilia è avvenuto il contrario».

Lei è ormai l’unico oppositore interno.
«Mi sento semplicemente un militante del Pd che fa le battaglie in cui crede: a volte coincidono con quelle del segretario, altre volte no».

Cosa gli rimprovera?
«La mancata percezione dell’identità del Pd».

Una subalternità culturale al M55?
«Registro i fatti. Poi vedo anche le cose positive. Nel rapporto con l’Europa il Pd e il premier sono stati decisivi. Ma è troppo poco. Non possiamo essere percepiti soltanto come il partito della stabilità».

Zingaretti invita a stare in trincea, altrimenti si rischia una Caporetto. Si riferiva a lei?
«Non mi sono mai sottratto alla lotta. Però bisogna mantenere anche una visione. Ho sentito Walter Verini dire che Di Maio è passato, grazie a noi, dall’alleanza con i gilet gialli a ministro degli esteri dei giallorossi. Non lo trovo così commendevole».

La scuola è in ritardo?
«È evidente. C’erano sei mesi per ripensarla e non si è fatto. Ora bisogna fare in modo che si possa aprire in sicurezza. Lo dico da genitore».

Intervista di David Allegranti, Il Foglio, giovedì 20 agosto

Orfini ci spiega perché dire no al matrimonio con i 5 stelle e al referendum costituzionale.
“E’ sbagliato, a cavallo di Ferragosto e nella disattenzione generale, forzare su scelte strategiche che invece hanno bisogno di una discussione congressuale”. 

Matteo Orfini non condivide l’indirizzo della segreteria di Nicola Zingaretti, che ha avviato il Pd all’accordo stabile con i grillini.
“L’idea di trasformare un’alleanza tattica ed emergenziale in un’alleanza strategica è fuori dal mandato di Nicola Zingaretti, che vinse in un’altra fase storica. Appena possibile, servirà un congresso da svolgere nella pienezza della sua forza. Credo che anche il segretario sia d’accordo”. E’ irricevibile l’idea che decidiamo di sposarci con il M5s perché il 14 agosto c’è stato un sondaggino improbabile, per modalità e tempistica, sulla piattaforma di proprietà di Casaleggio, mentre gli italiani sono alle prese con la crisi sociale o al mare . Con calma se ne discuterà a un congresso. Fino ad allora concentriamoci sulla campagna elettorale per le Regionali e il referendum evitando forzature”.

Ecco, a proposito di referendum costituzionale Orfini non capisce le argomentazioni dei cosiddetti riformisti per il Sì. 
“Resto alle discussioni fatte nei nostri organismi. Quando Zingaretti, dopo tre voti contrari, ci chiese di votare a favore di questa riforma sbagliata lo fece perché era una precondizione per far nascere il governo Conte bis. Molti di noi erano perplessi su quel cambio di voto e nell’accordo fu inserito che al fianco del taglio del numero dei parlamentari ci sarebbero stati anche una legge elettorale proporzionale e dei correttivi costituzionali per evitare che il taglio lineare, fuori da un disegno complessivo, diventasse uno sfregio alla Costituzione e una trasformazione pericolosa dei meccanismi istituzionali del paese. Su questo impegno modificammo il voto parlamentare, ma a un anno di distanza nessuno di quegli impegni ha visto la luce. Dunque un partito serio dovrebbe dire che le condizioni per il voto favorevole al taglio del numero dei parlamentari sono venute meno e che si torna allo schema originario. Invece leggo sul giornale che mi sta gentilmente ospitando ragionamenti da parte di dirigenti del mio partito che francamente non capisco. L’argomento per cui per non lasciare in mano il referendum ai populisti dobbiamo votare Sì è poco comprensibile logicamente, oltre che politicamente: per non lasciare una riforma populista in mano ai populisti dobbiamo diventare anche noi populisti invece che contrastare il populismo. Mi pare un mix di subalternità e mancanza di coraggio. Per quanto potrà durare l’alibi di Salvini? Non si può costruire un progetto politico sulla paura dei populisti e di Salvini. Dobbiamo anzi sfidarli a viso aperto, costruendo un’alternativa che miri a contendergli i voti”.

C’è chi vede un’alternativa in Mario Draghi, nuovo papa straniero di una politica sempre in cerca di personalità esterne ai partiti. Orfini ha sentito il discorso dell’ex governatore della Bce al Meeting di Rimini e l’ha apprezzato in parte.
“Draghi è una persona seria e ha fatto un discorso serio cogliendo alcuni dei nodi, che peraltro alcuni di noi hanno segnato in questi mesi, compresa l’idea che non si possa andare avanti a immaginare che l’unica forma di politica economica siano bonus e sussidi. Andavano bene nella primissima fase dell’emergenza, in pieno lockdown, per tutte quelle categorie in difficoltà per effetto della crisi. Ora però abbiamo bisogno di ripensare un sistema che produca sviluppo e crescita. Non possiamo avere come obiettivo quello di tornare a come eravamo prima, perché l’Italia di prima non andava bene. Era diseguale, ingiusta, piena di lentezze, inefficienze e difficoltà. Draghi ha colto correttamente l’esistenza di una questione giovanile nel nostro paese. Però non penso che possa essere affrontata solo con il giusto richiamo alla necessità di investire sulla formazione dei giovani. Anche perché siamo di fronte a due generazioni, di giovani ed ex giovani, che sono tra i più formati della storia nel nostro paese. Hanno un capitale umano enorme e vivono in condizione di precarietà esistenziale e professionale, spesso sono nell’oggettiva impossibilità di svolgere la professione per la quale si sono formati. A loro,negli anni, sono stati sottratti diritti, tutele, welfare e forse dovremmo ripartire dalle generazioni alle quali sono state negate queste cose. Dobbiamo rivedere i meccanismi corporativi di accesso ad alcune professioni nel nostro paese. Serve la parità salariale. Pensiamo a quanti ragazzi ed ex ragazzi siedono al loro posto di lavoro con accanto una persona che ha le loro stesse funzioni e guadagna il doppio, con un pacchetto di diritti superiore, frutto di politiche fatte da governi di centrosinistra. Attenzione, non significa levarli agli altri, ma darli a chi è più giovane. Ci sono intere generazioni messe in condizione di emarginazione. Basti pensare alla pubblica amministrazione, che si regge sul precariato di stato. Il caso più eclatante è quello della scuola, che va avanti grazie a un esercito di precari che non viene stabilizzato e che, secondo la ministra Azzolina, ha pure la colpa di essere sfruttato”.

Intervista di Aldo Torchiaro, il Riformista, giovedì 23 luglio

Matteo Orfini, leader dei Giovani Turchi, area della sinistra Pd nata ai tempi di Massimo D’Alema, non è più presidente del Pd ma il suo successore a quell’incarico, Paolo Gentiloni, ha congelato il ruolo che il futuro congresso dovrà riassegnare. Deputato per la seconda volta, non manca di sottolineare con voce critica il pericolo che la strategia sinergica del suo partito con il M5S lo finisca per snaturare completamente.

Conte torna trionfatore dall’Europa. Lunga vita al governo, anche per lei?
Non possiamo che essere felici del successo europeo. Non risolve tutti i problemi ma aiuta, è un ulteriore passo avanti, poi bisognerà conquistare questo sostegno pezzo dopo pezzo. Ma l’Europa dimostra di essere parte della soluzione e non parte del problema. È soprattutto una sconfitta per chi ha teorizzato per anni la necessità di uscirne.

Adesso c’è il problema delle riforme strutturali richieste. Bisogna rimettere mano alle pensioni? 
Io credo che bisogna avere una visione di come portare il Paese fuori dalla crisi e di come riformarlo, che è quella che è mancata nella gestione emergenziale. Noi abbiamo affrontato questa crisi con bonus e sussidi ma senza misure che cambiassero radicalmente il modo di essere del Paese e aggredissero i problemi. Questo significa pensare a un Paese più moderno, più giusto, in cui si affrontano quei nodi, anche correggendo alcuni errori del passato.

Errori come, per esempio? 
Quota 100 è stato un errore. Aver completamente sottovalutato la sofferenza del lavoro autonomo è stato un errore. Un governo che dice che “i lavoratori autonomi non soffrono più degli altri lavoratori” non ha capito il malessere che c’è nel Paese. E le fasce più deboli sono quelle che hanno patito di più questa crisi. Avere una visione diversa del Paese significa anche rimettere mano al tema delle disuguaglianza penso a un piano di edilizia residenziale pubblica e a una riforma fiscale: è ancora accettabile, per il nostro Paese, avere un sistema di tassazione che grava totalmente sui redditi e non ha alcuna forma di tassazione dei patrimoni? Si può discutere di un riequilibrio o è sempre considerata una bestemmia?

Evoca una patrimoniale?
Evoco una europeizzazione del sistema fiscale. In tutta Europa i patrimoni sono tassati, solo in Italia la fiscalità si concentra sui redditi. Creando un fattore di disuguaglianza.

Scuola e sanità esigono soldi subito, non nel 2021.
Penso che non utilizzare il Mes sulle emergenze scolastica e sanitaria sia uno spreco. Se si facesse lo sforzo di parlare con i medici di base, che sono quelli che hanno affrontato la fase più difficile della crisi, scopriremmo quanto c’è bisogno di risorse, che noi potenzialmente abbiamo da un mese, con la disponibilità del Mes. E non le stiamo utilizzando per un capriccio ideologico.

La scuola non sembra una priorità, arriva sempre per ultima. 
Vedo una enorme fatica da parte del Ministero ad affrontare gli enormi nodi che ci sono. Sono molto preoccupato. Vedo errori enormi che oggi paghiamo, come quello di non aver voluto stabilizzare i precari, con la conseguenza di trovarci a corto di personale scolastico. Su questo serve un salto di qualità, non basta avere più risorse. Serve una consapevolezza, o c’è il rischio che la scuola non riapra in tutta sicurezza.

Molto preoccupato anche per l’autunno che si prospetta caldo?
Credo che la tensione sociale crescerà se noi non la affrontiamo. La sento palpabile, se si passa qualche giornata nelle periferie la sofferenza e la rabbia le si vedono montare di giorno in giorno. E paradossalmente i successi straordinari che otteniamo in Europa, ma che si vedranno solo nel tempo, alzano l’asticella delle attese nella gente.

Salvini sconta i limiti del sovranismo, sottolinea i problemi senza dare soluzioni, e soffre il successo europeo del Governo. Rimane lui l’avversario da battere?
Rimane la destra. Salvini e la Meloni sono complementari per certi versi e ambedue pericolosi. Una destra sovranista, estremista e spregiudicata nel tentativo di aizzare la rabbia che c’è nel Paese invece che contribuire a governarla, nell’interesse nazionale. E che con l’aumentare delle tensioni rischia di essere un pericolo.

Cosa si aspetta a cambiare i decreti sicurezza?
Non va chiesto a me, ho chiesto io per primo in Parlamento di cambiarli. Leggo che c’è un accordo per cambiarli che viene rinviato a settembre. Quando si dice “c’è un accordo”, e poi “ma si decide a settembre”, la notizia non è che c’è un accordo ma che lo si rinvia a settembre.

Mentre parliamo c’è uno scafo con 120 persone alla deriva, ma la notizia ormai non desta interesse.
Come non fa più notizia che noi abbiamo un decreto vigente sulla chiusura dei porti fatto da questo governo, non da Salvini. Un decreto firmato dalla vice-segretaria del Pd, la ministra Paola De Micheli. E non fa più notizia che noi stiamo operando respingimenti illegali per interposta guardia costiera, in assoluta continuità con il governo precedente.

Il Pd ha votato per rifinanziare la guardia costiera libica, contraddicendo in aula quanto deciso dall’assemblea nazionale.
Con il voto contrario di un dignitoso gruppo di nostri parlamentari. Questo verrà considerato tra qualche anno come uno dei momenti più bui della storia del nostro Paese e del Partito Democratico. Noi abbiamo deciso, rompendo la tradizione della sinistra degli anni Novanta – quando in politica estera si difendevano i diritti umani fino a scegliere di mandare gli eserciti per tutelarli – di diventare un Paese che chiede a un altro Paese, in nome di una realpolitik perversa, di violare i diritti umani al posto nostro, perché noi non lo possiamo fare. Di questo si tratta. Riportare i migranti nei lager non si può. Se lo facesse una nave italiana sarebbe illegale, se invece lo fa la guardia costiera libica va benissimo e anzi con una ipocrisia vergognosa: stiamo pagando un Paese per chiedergli di violare i diritti umani al posto nostro.

Conte è, come ha detto Zingaretti, un campione di progressismo?
No, non lo è. Penso sia un punto di equilibrio per questa fase. Ha appena ottenuto un risultato notevole mostrando una certa caparbietà e capacità di trattare. Ma ha una visione politica diversa dalla mia: io non mi abituerò mai all’idea che si possa governare prima con Salvini e poi con noi, è una idea della politica che non ha a che fare con i miei valori, è da inserire nel filone del trasformismo italiano. Capisco che oggi vada bene così, ma prima di trasformare chi ha promulgato i decreti sicurezza nel nostro leader del futuro, andiamoci piano.

L’abbraccio con i Cinque Stelle rischia di essere mortale?
Non si può cadere nell’equivoco di considerare M5S come una forza di centrosinistra. Questo che abbiamo oggi è il classico governo di larghe intese. Abbiamo governato anche con Berlusconi, in un’altra fase della nostra vita. E di fronte a un’altra emergenza oggi si governa coni Cinque Stelle. Attenzione a non voler risolvere le difficoltà politiche solo con le alleanze, a prescindere dai valori fondativi, i programmi, i progetti: si voleva costruire una alleanza tra tutti coloro che sono contro le destre, però così si fa fatica a convincere gli elettori, tanto che siamo bloccati sulle stesse percentuali di consenso da più di un anno. Perché non si capisce più cos’è il Pd.

La giustizia a guida populismo penale è un’altra incudine…
A onor del vero non è solo colpa dei Cinque Stelle, ma riguarda anche un pezzo della cultura della sinistra. Sappiamo quanto in questi armi è stato difficile fare battaglie garantiste. Il garantismo nasce come valore di sinistra, è la difesa dei più deboli di fronte a un potere quasi assoluto. È una di quelle cose su cui vorrei un po’ di coraggio riformista.

Sul piano locale, in vista delle elezioni, fa bene il Pd a seguire la linea Franceschini? 
Dipende. In Umbria abbiamo fatto un’alleanza innaturale con i Cinque Stelle e abbiamo perso, in Emilia Romagna correndo con la coalizione classica abbiamo vinta In alcuni posti quando si viene da una opposizione comune alla destra è più semplice. In Toscana e in Campania siamo considerati in testa perché c’è stata una esperienza di buon governo, non perché c’è stata una politica di alleanze larga. Conta il progetto e il profilo del Pd.

Non è chiaro il progetto Pd?
Se lei esce adesso per strada e chiede cosa vuole Salvini, le rispondono. Se chiede cosa vogliono i Cinque Stelle, glielo sanno dire. Se chiede cosa vuole il Pd, rispondono boh.

Perché, secondo lei?
Perché ci siamo schiacciati sull’idea di un partito della responsabilità che annulla se stesso alla ricerca della stabilità. Ma anche ricercare sempre e solo la stabilità è un errore, se alla fine si annulla se stessi. Manca nell’azione di questo governo il profilo riconoscibile di una grande forza di centrosinistra.

Un effetto naftalina?
Sì, a me piacerebbe che il Pd si battesse dentro i confini nazionali come fa in Europa. In Europa è chiaro il nostro profilo, e le nostre battaglie le vinciamo. Quando torniamo in Italia ci perdiamo. Dovremmo tornare ad aggredire le disuguaglianze. Da lì si riparte.

Giorgio Gori ha aperto la discussione sulla leadership. Esiste il tema?
Esiste un problema di linea politica che comporta una discussione di carattere congressuale, saltata per l’emergenza sanitaria. Da un lato si piega il progetto futuro a una prospettiva mai discussa in un congresso, cioè l’alleanza strategica con i Cinque Stelle, e il conseguente annullamento del profilo politico del Pd. Dall’altro si umilia il partito con un incidente come quello avvenuto sulla Libia. Una cosa enorme: votiamo in Assemblea nazionale una cosa e in Parlamento facciamo l’esatto opposto. Vuoi dire che si è rotto qualcosa anche nelle regole interne. È ovvio che serve un congresso, ma adesso non lo possiamo fare. Dobbiamo vincere le regionali, affrontare un autunno complicatissimo e appena possibile, è inevitabile fare un congresso, e con quello una discussione sulla leadership.

D’Alema e Bersani potrebbero rientrare, con un contenitore nuovo. 
Proposi due anni fa di resettare il Pd e rifare un grande partito della sinistra da zero, ottenendo l’unico esito di saldare Renzi e Zingaretti, che mi attaccarono. Qualche tempo fa Zingaretti è tornato su quella proposta. Lanciare una sfida a tutto il centrosinistra per una ricomposizione unitaria, al di là dei sistemi elettorali la frammentazione non aiuta nessuno.

Cambiando anche nome al Pd?
Nomina sunt consequentia rerum. Il problema vero è cosa vuoi fare.

Sente ancora D’Alema? 
A dire il vero non ci parliamo da molto. Gli voglio sempre bene, anche se non ho condiviso tutte le sue scelte, come lui le mie.

I giovani turchi, col passare del tempo, sono diventati turchi di mezza età. Cosa farà Orfini da grande?
Quello che ho sempre fatto: cercare di dare un contributo politico con una visione chiara, senza pretendere posti. A volte riesco, altre volte sbaglio.

Per esempio quando disse “Grazie, Pignatone, per aver liberato Roma dalla mafia”. 
La mafia non c`era. Era associazione a delinquere e non mafia, ma bene aver fatto pulizia. A Roma le mafie ci sono: clan della camorra, ‘ndrine calabresi. E in qualche quartiere periferico ci sono decine di migliaia di persone sequestrate in casa dalla malavita organizzata. Sugli Spada si inizia a fare luce adesso. Mafia capitale non era mafia, ma occhio a non sottovalutare la Roma criminale, che esiste eccome.

Pentito di aver risolto la crisi con Marino dal notaio?
È una fake news che quella crisi la abbia risolta il notaio. La risolsero i consiglieri che non andarono dal notaio e si dimisero in Campidoglio davanti al segretario comunale. E a posteriori, con tutta la difficoltà di quella scelta, forte e difficilissima, penso ancora oggi che sia stata quella più giusta da prendere in quel momento. Il Pd romano, finito il commissariamento, arrivò poi quattro punti sopra la media nazionale, e a Roma siamo tornati ad essere primo partito.

Chi vede come candidato in Campidoglio?
Ho promesso, finito il ruolo di commissario, di rimanere fuori da questa scelta. Abbiamo un segretario nazionale che è di Roma, la scelta deve essere sua. Ma gli suggerirei di fare presto.

Di Chiara Gribaudo e Matteo Orfini, Il Sole 24Ore, 23 luglio.

In questi giorni concitati di discussione sul recovery fund, di ricerca anche difficile di nuove risorse per venire incontro alle esigenze del Paese colpito dalla crisi del Covid-19, può succedere che un governo risponda con toni poco adeguati alle richieste di una categoria. Non condividiamo come il governo ha gestito la discussione sulle scadenze fiscali nei confronti dei commercialisti e di tutti i lavoratori autonomi, ma gli articoli di giornale e le dichiarazioni degli ultimi giorni sono solo l’ultimo metro di una distanza troppo larga, fra questo esecutivo e il popolo delle partite IVA, sulla quale già avevamo chiesto un ripensamento nei mesi scorsi. In questa e nella passata legislatura, insieme ad un gruppo di parlamentari, di membri del governo e di associazioni di professionisti, abbiamo sempre cercato di far valere i diritti dei lavoratori autonomi sulla base di un’idea semplice: che il mondo del lavoro non potesse essere diviso in categorie di serie A e di serie B, che non si potesse trattare nessuno come privilegiato ma che si dovesse dare pari diritti a ciascuno, mettendo fine a divisioni che oggi appaiono insensate.

Per questo abbiamo portato avanti e approvato la legge 81/2017, lo statuto dei lavoratori autonomi; per questo avevamo creato un regime forfettario semplice ed equo e abbassato l’aliquota previdenziale della gestione separata; per questo abbiamo introdotto il principio dell’equo compenso, che oggi è tremendamente in ritardo nella sua attuazione pratica. Molto lavoro infatti rimane da fare, ma il governo Conte II si era preso e aveva ricevuto solennemente alcuni impegni davanti alle Camere, sia al suo insediamento sia con la risoluzione approvata l’autunno scorso. L’emergenza Covid-19 ha naturalmente interrotto ogni discussione (che pur languiva) su questi temi, ma proprio la gestione dell’emergenza ha esposto il fianco a quanti hanno gioco nel dire che il Partito Democratico e l’esecutivo si preoccupano solo dei lavoratori dipendenti e sono “nemici” delle partite IVA.

Non crediamo affatto che questo governo sia nemico dei lavoratori autonomi, ma ci sono state una serie di disattenzioni e di scelte che non aiutano chi come noi vuole difendere una riforma progressista e universalista dei diritti del lavoro. Uno: la mancata previsione nel decreto Cura Italia dell’indennità per i professionisti degli ordini, poi recuperata in calcio d’angolo con un decreto ad hoc a valere sui fondi (poi rifinanziati perché insufficienti) del reddito di ultima istanza. Due: la mancata estensione dei contributi a fondo perduto ai professionisti nel decreto Rilancio. Tre: l’esclusione di molti codici ATECO e di alcune categorie catastali di riferimento per i professionisti, da quelli beneficiari dei vari strumenti di sostegno. Ultimo ma non per importanza: attaccare frontalmente la categoria snocciolando le cifre loro erogate, di fronte alla richiesta di aprire una discussione sugli adempimenti fiscali che il governo si era impegnato a fare già lo scorso autunno, a seguito della discussione del decreto fiscale.

Queste scelte sbagliate rischiano di lasciare campo libero soltanto a chi propone flat tax inique e condoni che secondo noi non possono essere la soluzione. C’è un modo diverso di lavorare con il mondo delle partite IVA, fatto di ascolto, dialogo e obiettivi concreti per assicurare tutele a tutti i lavoratori nei momenti del bisogno. O si applica questo metodo subito, o si distrugge un lavoro collettivo durato anni per rendere credibile il centrosinistra agli occhi di queste categorie. In Parlamento ci sono proposte e idee per portare avanti questa discussione con concretezza e decisione, ma tutti devono lasciare fuori dalla porta veti e stereotipi. Di fronte ai rischi sociali del prossimo autunno, ognuno deve assumersi le proprie responsabilità e giocare ogni chance per tutelare i più deboli e rilanciare il lavoro.

Intervista di Giulia Merlo, Il Dubbio, sabato 4 luglio.

«Sono deluso dal Pd: serve più coraggio nel rivendicare i nostri punti programmatici»,

Da giorni il deputato ed ex presidente dem segue da vicino l’Ocean Viking, lasciata da cinque giorni al largo di Lampedusa con 180 migranti a bordo e non si rassegna al fatto che il governo ancora tentenni, rinviando la modifica dei decreti sicurezza.

Lei se la prende col Pd, ma questo è un governo di coalizione… 

Proprio per questo me la prendo col Pd. So esattamente chi sono il premier Conte e i 5 Stelle, che quei decreti hanno scritto e approvato: il primo non è mai stato né sarà un punto di riferimento per i progressisti e non ho mai considerato i grillini di centrosinistra. Dal mio partito, invece, mi aspetto molto più coraggio. Il governo Conte II nacque con la richiesta del Pd di una discontinuità. Discontinuità, però, non ne sto vedendo: di abrogazione dei decreti sicurezza non si parla più, non ci sono passi avanti sullo ius soli e, in generale, sulle politiche migratorie siamo ancora nel paradigma della destra. 

Con la Ocean Viking ancora bloccata in mezzo al mare.

A un anno di distanza dalla vicenda della Sea Watch, dove io e altri salimmo per protestare contro la chiusura dei porti, non è cambiato nulla. Non si assegna il porto e anzi i porti si chiudono, lasciando i disperati in mezzo al mare e considerando una colpa il fatto di averli salvati. Io ho votato la fiducia a questo governo e mi aspetto che

non porti avanti la politica di Salvini. Certamente la ministra Lamorgese è molto più seria e preparata, ma se i suoi atti nei fatti sono identici a quelli del suo predecessore io ho il dovere di contrastarli, esattamente come facevo con Salvini. Anzi, sono basito dal fatto che la delegazione del Pd al governo non intervenga.

Zingaretti ha provato a dare una scrollata al governo, nel suo incontro con Conte. E` servito? 

Ho apprezzato che Zingaretti lo abbia fatto, richiamando l’attenzione di Conte sui temi importanti per noi e in particolare sul Mes, su cui stiamo perdendo tempo prezioso a causa dei capricci dei 5 Stelle e dell’incapacità di Conte di prendere un’iniziativa forte. Abbiamo trattato bene con l’Europa, abbiamo ottenuto un Mes senza condizionalità per le spese sanitarie e ora  non lo vogliamo usare? Una follia. 

Il governo sembra essersi impantanato a causa dei veti incrociati. Il problema è l’eterogeneità della maggioranza?

 Io ho una percezione diversa e cioè che questo governo sia andato avanti molto speditamente su alcune cose: penso al taglio del numero dei parlamentari, posta dai grillini come condizione per il governo; oppure ai temi della giustizia, su cui il Pd sta raggiungendo compromessi al ribasso con una forza politica che fa del populismo penale la sua bandiera. 

A questo proposito, la legge elettorale a breve arriverà in aula alla Camera… 

Sì, e apprezzo che Zingaretti abbia chiesto di accelerare e di rispettare l’accordo fatto al momento del taglio dei parlamentari. La legge dovrebbe essere proporzionale con lo sbarramento al 5% e mi sembra molto adatta a questa fase politica, perché garantisce la rappresentanza ma permette di costruire maggioranze che governano. Mi sembra che l’accordo ci sia con tutti, grillini compresi. 

Pensa che il governo corra sui desiderata dei grillini e invece si fermi davanti a quelli del Pd?

A me sembra che noi siamo molto accomodanti sui temi cari ai 5 Stelle, mentre ci fermiamo sulle nostre iniziative. Non a caso i sondaggi raccontano che i nostri elettori considerano il Pd appiattito sui 5 Stelle e con una identità molto fragile. Per questo vorrei più iniziative da parte nostra e più coraggio per il futuro: non usciremo dalla crisi solo coi bonus ma serve un’idea per ridefinire il sistema produttivo e soprattutto intervenire sulle diseguaglianze. L`obiettivo della sinistra non è quello di proteggere paternalisticamente chi è in difficoltà, ma deve essere di offrire le condizioni per uscire da questa condizione.

Gori aveva ragione, allora, quando diceva che il problema del Pd è la leadership?

Guardi, io non voglio cambiare segretario ora, ma che Zingaretti diriga di più il partito e che il Pd faccia valere il suo peso al governo. E’ quasi un paradosso che io, che appartengo alla minoranza che non è entrata nella segreteria, chieda al segretario di dirigere con più forza. Ma sono convinto che non si attraversa una fase politica come questa con il ritornello del “non abbiamo alternative”, perché il ruolo della politica è proprio quello di creare alternative dove non ci sono. 

Intanto, ci si avvicinano regionali. Perché non si riescono a chiudere alleanze coi grillini? 

Perchè, con la politica delle alleanze senza la politica, non si riescono a comporre nemmeno le alleanze. In Emilia abbiamo vinto e anche in Campania siamo in vantaggio, pur senza i 5 Stelle, perchè Stefano Bonaccini e Vincenzo De Luca rappresentano esperienze di governo positive e hanno un profilo chiaro. In Umbria abbiamo perso perché l’alleanza era forzata e non è partita dalla politica. Da romano, trovo inconcepibile un’alleanza Pd-5 Stelle a Roma e penso che sarebbe sbagliato anche solo provare a costruirla, perché non esiste alcuna omogeneità. Le alleanze si possono fare solo se esistono dei punti di contatto politici a livello territoriale, altrimenti sono perdenti.

Conte teme che ciò possa mettere in crisi il governo, in settembre. 

Io sono preoccupato, ma non per le regionali: a settembre mi preoccupa che le scuole non ripartano, visto che siamo in enorme ritardo e abbiamo fatto dei gravi errori di gestione. Serve un salto di qualità nell’azione di governo, perché qualcosa non sta funzionando come dovrebbe e bene ha fatto il Pd a chiedere a Conte più concretezza, ora però bisogna che si cominci a vedere qualche risultato.

Intervista di Luca Liverani, Avvenire, venerdì 22 maggio

Risposte chiare dalla ministra dei Trasporti De Micheli. Una commissione d’inchiesta sulle stragi nel Mediterraneo. E una profonda ridiscussione del “decreto missioni” riguardo la collaborazione con la Libia: diversamente, non avrà il voto di un ampio e trasversale fronte di parlamentari della maggioranza. Matteo Orfini – ex presidente del Pd, due volte a bordo della Sea Watch – ha idee chiare sul caso sollevato da Avvenire , che ha documentato come Malta abbia dirottato un gommone di profughi verso l’Italia.

Una pagina oscura delle politiche migratorie.
Sì. E pone interrogativi alla politica, al governo, alla comunità internazionale. Il governo chiarisca immediatamente: l’Italia sapeva? Ad Avvenire giorni fa la ministra dei Trasporti Paola De Micheli ha dichiarato che l’Italia ha sotto controllo tutto ciò che avviene nel Mediterraneo. O quella affermazione è… eccessiva, oppure sapeva come Malta agiva. L’ha detto solo per tranquillizzare chi, come noi, era allarmato per i barconi alla deriva? Il governo si muova a livello diplomatico con Malta. Quanto avvenuto è l’ennesimo atto illegale nel Mediterraneo: la barca era in acque territoriali maltesi e andava soccorsa.

Fornire un motore di ricambio assomiglia molto al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina
Un comportamento degno di scafisti, non di uno stato. E l’ennesimo caso oscuro. Come la Asso 28 che riportò migranti in Libia. O i rapporti opachi tra apparati libici e italiani. E ora di istituire una commissione di inchiesta sulle stragi nel Mediterraneo. Al di là delle inchieste giudiziarie si appurino le responsabilità politiche. Lo chiediamo da più di un anno. Spetta al Parlamento, non al governo. I presidenti Fico e Casellati e i gruppi non tergiversino più.

È ora di realizzare la discontinuità dalle politiche migratorie dei governi Conte 1 e Gentiloni?
Elementi, parziali, ci sono stati: vedi la regolarizzazione di parte degli irregolari. Ma non basta. C’è stato anche il primo morto, il tunisino finito in mare dalla nave in quarantena. La chiusura dei porti motivata dalla pandemia è una pagina triste. Ma tra poco arriverà in Parlamento il decreto missioni internazionali…

E cosa c’entra con le migrazioni?
È lo strumento usato per finanziare gli apparati libici, che hanno dimostrato di essere tutto fuorché istituzioni affidabili. Un conto è l’aspetto umanitario, altro è mantenere l’impianto dello sciagurato Memorandum Italia-Libia, voluto dal governo Gentiloni. Armiamo una banda di trafficanti che si fa chiamare “guardia costiera libica”, e non siamo più disponibili a votare norme che producono sistematiche violazioni dei diritti.

Un avvertimento molto chiaro
Preferisco parlare di posizione politica. Sul rispetto dei diritti umani non c’è disciplina di partito o di maggioranza. All’ultima assemblea del Pd abbiamo votato all’unanimità un documento che diceva “basta accordi con la Libia”. O il memorandum cambia, o non avrà i nostri voti. Non solo di parte del Pd. C’è l’indisponibilità credo di tutta Leu, ma anche in Italia Viva e M5s.

Intervista di Giulia Merlo, Il Dubbio, 1 maggio 2020

«Ho apprezzato lo sforzo di aver illustrato in modo articolato i provvedimenti del governo, molto meno la rivendicazione dell’utilizzo del Dpcm. La ripartenza va costruita in Parlamento», perché «questa crisi non è una livella sociale ma un moltiplicatore di disuguaglianze e per uscirne serve visione politica».

Insomma, esame non superato per il presidente del Consiglio?
Ho trovato positivo lo sforzo di Conte di fugare i dubbi sui provvedimenti del governo e di rassicurare il Paese, mi ha convinto decisamente meno la rivendicazione del Dpcm. In questa fase così delicata in cui è stato necessario ridurre le libertà individuali e i diritti dei cittadini, non possiamo permetterci una ulteriore compressione della discussione democratica attraverso l’utilizzo di strumenti diversi da una norma primaria.

Questo ennesimo Dpcm è stato la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso?
Io stesso ho difeso lo strumento quando è stato usato nella fase di maggiore emergenza. Come ha detto Conte, si gestiva una situazione in evoluzione continua e serviva una risposta necessariamente rapida. Ora, però, siamo davanti a un cambio di fase e il Dpcm non è lo strumento corretto. L’emergenza era una fase eccezionale e come tale andava gestita, la ripartenza invece richiede la stesura di un progetto, che va preparato e discusso nel tempio della democrazia, ovvero il Parlamento. A decidere come far ripartire il Paese devono essere le Camere, non le task force dei tecnici. 

Contesta la costituzione delle task force di tecnici?
Contesto il fatto che la sovranità possa essere ceduta a gruppi di esperti scelti dal governo. Ripeto: per ripartire serve un progetto che va costruito in Parlamento, dove può svolgersi il confronto tra tutti gli attori coinvolti. Poi, costruita la cornice, sarà possibile agire con strumenti più rapidi come i decreti. Ma in una fase del genere abbiamo bisogno di più democrazia, non di meno.

Però nella maggioranza di governo c’è anche il Pd, possibile che Conte non si sia confrontato con gli alleati prima di scegliere la strada del Dpcm?
Io questo non glielo so dire. Il Pd non riunisce da mesi la direzione, nemmeno via web, e le assicuro che nei gruppi parlamentari non si è mai discusso del Dpcm. Comunque, non ritengo si tratti di un tema che si può ridurre agli equilibri interno alla maggioranza, perché in gioco ci sono gli equilibri istituzionali del Paese. Le scelte sulla ripartenza devono Passare per il Parlamento e il Pd dovrebbe difendere il sistema parlamentare, invece che regalarlo a chi lo usa strumentalmente come sta facendo in questi giorni la destra di Salvini.

Eppure, osservando le reazioni dell’opinione pubblica in questa fase di emergenza, il dualismo tra tecnici e politici sembra lo abbiano vinto i tecnici. Rischiate l’estinzione?
Se io pensassi questo vorrebbe dire che non crederei più nella democrazia. Gli esperti servono ed è importante che esprimano il loro punto di vista, ma ognuno ha un ruolo: le decisioni politiche le assume chi governa e le leggi le fa il Parlamento. Le misure fin qui assunte dal governo sono state positive, ma hanno bisogno di essere corrette e modificate in aula, perché le strategie non possono essere imposte ma vanno discusse. Ripeto, non ci servono più task force ma più politica, che sappia restituire la visione di come sarà l’Italia dopo questa crisi, dica in che direzione si va e con quali strumenti.

E in che direzione si va, secondo lei?
In questo momento il Paese sta soffrendo, le persone non riescono ad andare a fare la spesa, le imprese sono in difficoltà e in molti hanno perso o stanno perdendo il lavoro. Serve una discussione collettiva sulla ripartenza, tenendo ben presente che il rischio del virus è ancora presente ma anche bisogna pensare al futuro. Sul fronte economico è stato fatto uno sforzo imponente in particolare dal ministro Roberto Gualtieri, che è riuscito a tamponare la situazione grazie alla sua capacità negoziale in Europa. Ora, però, serve un passo in più.

Quale sarebbe?
Quello di capire se, passata la crisi, vogliamo riportare nel futuro tutto il sistema industriale così com’è oggi, incluse le sue debolezze, oppure se vogliamo inserire elementi di innovazione. Questo virus e la conseguente crisi economica non è una livella sociale ma un moltiplicatore di diseguaglianze: vale a livello europeo dove i paesi più forti ne stanno uscendo meglio rispetto a noi, ma vale anche all’interno del Paese. Chi aveva le spalle coperte ha assorbito meglio il colpo, chi invece stava peggio oggi è al collasso. Metaforicamente, la distanza è tra quelli che hanno passato la quarantena nella loro villa con piscina e quelli che invece sono stati in una casa popolare senza un balcone.

Cosa propone, quindi?
Dobbiamo incidere sui meccanismi che generano le disuguaglianze e questo vuol dire affrontare alcuni nodi. Per esempio, l’Italia è un paese che tassa molto i redditi e per nulla i patrimoni. E’ possibile discutere di redistribuire le risorse toccando i patrimoni, senza che questo venga vissuto come una bestemmia? O ancora, sosteniamo il sistema delle imprese, ma cerchiamo di indirizzarne la trasformazione verso modelli più economicamente sostenibili e con una migliore remunerazione del lavoro. Il paradigma è lo stesso: leghiamo le misure emergenziali a una visione di rinnovamento.

Addirittura accenna a una patrimoniale. Questo governo sarebbe abbastanza forte per farla?
Il governo è forte se è forte la maggioranza, per questo bisogna avere voglia di affrontare i nodi politici, che ci sono e sono enormi. Prenda il Mes, per esempio, e il no dei grillini.

Quello del Mes è uno dei nodi che verranno presto al pettine.
La posizione del Movimento 5 Stelle è incomprensibile. Grazie a una trattativa condotta in prima persona dal Ministro Gualtieri, abbiamo ottenuto di poter utilizzare il Mes nel settore sanitario senza alcuna condizionalità. E’ assurdo mandare il governo a trattare, portare a casa il risultato e poi dire no grazie. Questo è infantilismo politico. Per questo dico che è necessario riconoscere e sciogliere tutti i nodi politici interni alla maggioranza: il governo faccia una discussione vera e non riduca tutto alla dialettica tra ministri. Solo così si può andare avanti.