Errori sulle partite IVA, serve un altro metodo

Di Chiara Gribaudo e Matteo Orfini, Il Sole 24Ore, 23 luglio.

In questi giorni concitati di discussione sul recovery fund, di ricerca anche difficile di nuove risorse per venire incontro alle esigenze del Paese colpito dalla crisi del Covid-19, può succedere che un governo risponda con toni poco adeguati alle richieste di una categoria. Non condividiamo come il governo ha gestito la discussione sulle scadenze fiscali nei confronti dei commercialisti e di tutti i lavoratori autonomi, ma gli articoli di giornale e le dichiarazioni degli ultimi giorni sono solo l’ultimo metro di una distanza troppo larga, fra questo esecutivo e il popolo delle partite IVA, sulla quale già avevamo chiesto un ripensamento nei mesi scorsi. In questa e nella passata legislatura, insieme ad un gruppo di parlamentari, di membri del governo e di associazioni di professionisti, abbiamo sempre cercato di far valere i diritti dei lavoratori autonomi sulla base di un’idea semplice: che il mondo del lavoro non potesse essere diviso in categorie di serie A e di serie B, che non si potesse trattare nessuno come privilegiato ma che si dovesse dare pari diritti a ciascuno, mettendo fine a divisioni che oggi appaiono insensate.

Per questo abbiamo portato avanti e approvato la legge 81/2017, lo statuto dei lavoratori autonomi; per questo avevamo creato un regime forfettario semplice ed equo e abbassato l’aliquota previdenziale della gestione separata; per questo abbiamo introdotto il principio dell’equo compenso, che oggi è tremendamente in ritardo nella sua attuazione pratica. Molto lavoro infatti rimane da fare, ma il governo Conte II si era preso e aveva ricevuto solennemente alcuni impegni davanti alle Camere, sia al suo insediamento sia con la risoluzione approvata l’autunno scorso. L’emergenza Covid-19 ha naturalmente interrotto ogni discussione (che pur languiva) su questi temi, ma proprio la gestione dell’emergenza ha esposto il fianco a quanti hanno gioco nel dire che il Partito Democratico e l’esecutivo si preoccupano solo dei lavoratori dipendenti e sono “nemici” delle partite IVA.

Non crediamo affatto che questo governo sia nemico dei lavoratori autonomi, ma ci sono state una serie di disattenzioni e di scelte che non aiutano chi come noi vuole difendere una riforma progressista e universalista dei diritti del lavoro. Uno: la mancata previsione nel decreto Cura Italia dell’indennità per i professionisti degli ordini, poi recuperata in calcio d’angolo con un decreto ad hoc a valere sui fondi (poi rifinanziati perché insufficienti) del reddito di ultima istanza. Due: la mancata estensione dei contributi a fondo perduto ai professionisti nel decreto Rilancio. Tre: l’esclusione di molti codici ATECO e di alcune categorie catastali di riferimento per i professionisti, da quelli beneficiari dei vari strumenti di sostegno. Ultimo ma non per importanza: attaccare frontalmente la categoria snocciolando le cifre loro erogate, di fronte alla richiesta di aprire una discussione sugli adempimenti fiscali che il governo si era impegnato a fare già lo scorso autunno, a seguito della discussione del decreto fiscale.

Queste scelte sbagliate rischiano di lasciare campo libero soltanto a chi propone flat tax inique e condoni che secondo noi non possono essere la soluzione. C’è un modo diverso di lavorare con il mondo delle partite IVA, fatto di ascolto, dialogo e obiettivi concreti per assicurare tutele a tutti i lavoratori nei momenti del bisogno. O si applica questo metodo subito, o si distrugge un lavoro collettivo durato anni per rendere credibile il centrosinistra agli occhi di queste categorie. In Parlamento ci sono proposte e idee per portare avanti questa discussione con concretezza e decisione, ma tutti devono lasciare fuori dalla porta veti e stereotipi. Di fronte ai rischi sociali del prossimo autunno, ognuno deve assumersi le proprie responsabilità e giocare ogni chance per tutelare i più deboli e rilanciare il lavoro.

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