Pd, basta con la polvere sotto il tappeto

Intervista ad Avvenire di Roberta D’Angelo, domenica 2 ottobre 2022

È sconfortato, Matteo Orfìni. Già presidente del Pd, leader della corrente dei “Giovani turchi”, membro della Direzione, non condivide affatto il dibattito che si è aperto all’in­domani della sconfitta. «Non pos­siamo sottovalutarne la dimensione», dice.

Che intende?

È stata una sconfitta politica, il fallimento della linea messa in campo in questi anni, ci ritroviamo al punto di partenza di quat­tro anni fa.

Ma si tratta di due linee ben diverse…

Sì, ma nonostante due linee completamente diverse siamo al punto di partenza e questo suggeri­rebbe di non sminuire e non na­scondere la polvere sotto al tap­peto, anche perché è vero che ab­biamo preso il 19 percento, ma tra i nostri eroici elettori non ne ho trovato uno felice di votarci.

Chi nasconde la polvere?

Ho visto questo percorso molto ar­ticolato lanciato dal segretario. Penso che non dobbiamo dare l’i­dea di voler diluire la discussione in modo burocratico. Il discorso deve essere vero.

E cioè?

Non vorrei rifare le Agorà, parla­re di tutto tranne che di politica: va bene discutere per capire come rifondare il Pd, ma dobbiamo af­frontare anche i nodi politici e dir­ci se davvero crediamo ancora nel Pd. Leggo e sento tanta sfiducia anche nel gruppo dirigente che il Pd possa svolgere ancora la fun­zione per cui è stato pensato. C’è l’idea che il Pd non possa più essere quel soggetto politico che è in grado di rappresentare una parte larga del Paese e di sfidare la destra.

C’è pure chi dice che il M5s ha saputo rappresentare il disagio so­ciale meglio di voi.

Questo è vero, ma la risposta che viene data è che dobbiamo allearci con i 5 stelle. E non come migliorarci per rappresentare noi il disagio sociale. Ma così si diventa un partito dell’establishment, la cui unica funzione è provare a stare al governo. Questo è stato il nostro fallimento. Abbiamo spiega­to agli elettori che Conte è di sini­stra – cosa peraltro abbastanza discutibile -, che era il nostro punto di riferimento e ci sta che qualche nostro elettore gli ha anche cre­duto. Oppure che Carlo Calenda era un sincero riformista. Abbia­mo delegato tutto agli altri, rinun­ciando a quella che è la prima fun­zione di un partito, cioè rappre­sentare un pezzo di società e conquistare consenso.

C’è pure chi, come Rosy Bindi, di­ce che dovreste sciogliervi in un’alleanza con il M5s.

Lei non crede più alla funzione del Pd, ma ha il merito di averlo detto chiaramente. Ha detto quello che anche altri pensano: che il Pd è un progetto fallito. Io credo che quel progetto debba essere salvato, ma definito e ripensato radicalmente.

Giovedì la direzione farà chiarez­za?

Io dico di affrontare i nodi, poi vanno bene le fasi e tutto quello che Letta ha indicato, a patto che non serva per eludere i problemi poli­tici, perché questa sensazione ce l’ho avuta in realtà. Noi parliamo di un organismo dirigente eletto tre ere geologiche fa, figlio di un congresso in cui i candidati erano Martina, Giachetti e Zingaretti: uno ha abbandonato la politica, un altro ha cambiato partito e il terzo si è dimesso da segretario dicendo più o meno che questo partito gli faceva schifo.

Letta ha parlato di aprire ai non i­scritti e di terminare con due no­mi alle primarie.

Lo Statuto già prevede questo. Il nostro Congresso prevede che la linea politica sia legata a una candidatura quindi è chiaro che ci ar­riveremo, ma penso che non pos­siamo rinviare troppo perché vi­viamo una fase delicata. Abbiamo bisogno di un gruppo dirigente le­gittimato nuovo.

Prima delle regionali?

In 3-4 mesi va fatto tutto. Lo suggerisce la politica, ma il tema del­le regionali non deve influire. Dob­biamo consentire al gruppo diri­gente del Lazio di preparare le elezioni senza caricare questa di­scussione delle scadenze ravvici­nate. Ovvio che avere un gruppo dirigente legittimato aiuterebbe anche le prossime elezioni.

Candidati ne avete già parecchi. Saranno troppi?

Sono rimasto stupito da chi si è candidato il giorno dopo la sconfitta, che non ha colto il senso del­la sofferenza dei nostri elettori e dei nostri militanti. Ho condiviso il ragionamento di Stefano Bo­naccini (il presidente dell’Emilia­ Romagna, ndr), che ha rispettato tempi e modi della discussione.

Teme che le correnti impediscano il percorso?

Non sono per la demonizzazione delle correnti, ma non vorrei af­frontassimo il passaggio ingab­biati dall’istinto di conservazione del gruppo dirigente. La voglia di innovazione si vedrà dalle scelte che si faranno a breve, a comin­ciare dai capigruppo parlamenta­ri. Bisogna evitare forzature, per­ché siamo in una fase di transi­zione e c’è bisogno di grande equilibrio.