Intervista di Maria Teresa Meli, Corriere della Sera, domenica 17 novembre
Onorevole Orfini, venerdì Dario Franceschini ha detto che il Pd deve impegnarsi in tutti i modi per coltivare l’alleanza con i grillini.
«Io penso che il modo in cui si è concepito questo accordo di governo sia il grande errore di questa fase. Per come la vedo io è un accordo tra forze alternative. Il che non mi scandalizza: in alcune fasi della vita del Paese si può governare con forze che sono culturalmente e politicamente alternative. Governammo con Berlusconi, possiamo governare anche con i 5 Stelle, ma appunto è una fase eccezionale. Il tentativo di trasformare un accordo emergenziale in un matrimonio politico e addirittura nell’incubatore di un nuovo centro sinistra è la ragione per cui questo governo è così fragile e il Pd è così debole».
Ma siete veramente così diversi voi e i 5 Stelle?
«Culturalmente e politicamente su tutti gli aspetti fondamentali siamo incompatibili. Il movimento non è una costola del centrosinistra, ma ha caratteristiche molto più simili alla destra radicale».
È possibile approvare lo Ius culturae con i 5 Stelle?
«Io penso che uno dei problemi sia esattamente il modo in cui il Pd concepisce il suo rapporto con i 5 Stelle. Noi non possiamo essere un partito che si annulla in nome della stabilità di governo. Se l’unica cosa che noi diciamo è “non si possono fare proposte perché sennò il governo va in difficoltà” il governo diventa inutile e noi appaiamo solo un partito del potere, cosa che non siamo. Il punto è che noi dovremmo concepire in modo più dialettico questo rapporto. Noi facciamo cose che non condividiamo, per esempio il taglio dei parlamentari, perché era nell’accordo con i 5 Stelle, ma abbiamo anche il dovere di chiedere al Movimento 5 Stelle di fare lo stesso sforzo. Riempiamo il governo anche delle parole d’ordine della sinistra italiana che oggi sono assenti. Insomma, noi abbiamo fatto questo governo per impedire che Salvini andasse al potere e poi non cancelliamo le leggi vergogna fatte da Salvini? Che senso ha?».
Parla dei decreti sicurezza?
«Già, noi diciamo che dobbiamo ritoccarli solo recependo i rilievi di Mattarella, ma non è un argomento sufficiente, noi dobbiamo abrogarli come avevamo promesso quando facevamo ostruzionismo contro quei decreti».
Lei presenterà 5 ordini del giorno in assemblea.
«Si, cinque proposte che cercano di dare un minimo di anima al Pd. Sono semplici. Uno prevede l’abrogazione dei decreti, il secondo di chiedere agli alleati di approvare lo Ius culturae nei prossimi cento giorni, il terzo di approvare entro cento giorni la parità salariale, il quarto riguarda lo stop ai tirocini gratuiti. E poi c`è un quinto punto a cui tengo molto e cioè che il Pd torni a respingere una visione terribilmente giustizialista che considera il garantismo una brutta parola, il che porta con sé la richiesta di modificare alcuni punti della riforma Bonafede. Spero e credo che Zingaretti voglia farli suoi nelle conclusioni e che quindi possano essere approvati dall`assemblea. Aiuterebbero il Pd a risollevare uno dei suoi problemi».
Quale?
«Oggi non si sa cosa voglia fare il Pd. Se tu fermi uno per strada e gli chiedi cosa vuole la Lega lo sa, cosa vuole Di Maio lo sa, cosa vuole il Pd ti risponde “boh”».
Se gli alleati vi rispondono picche?
«Se ci rispondono picche su tutto vuol dire che non sono alleati. Non è che il concetto di alleanza può essere declinato come abbiamo fatto finora: noi diciamo sì a tutto quello che propongono i 5 Stelle e rinunciamo a chiedere quello che vogliamo noi. Questo produce lo scollamento tra un popolo che chiede sinistra e un Pd che non la offre. La piazza di Bologna è stato un esempio in questo senso. Un popolo che fa fatica a sentirsi rappresentato da un partito che non ha il coraggio di assumere posizioni decise».